Oleksandr Usyk è un campione epocale: Tyson Fury sconfitto ancora!

DiMario Salomone

Dic 22, 2024 #Fury, #Usyk, #WBA, #WBC, #WBO

Oleksandr Usyk è un campione epocale: uno di quei pesi massimi che nascono una volta ogni trenta o quarant’anni e lasciano un marchio indelebile sulla storia della categoria regina. Ieri sera, presso la Kingdom Arena di Riyadh, è andato in scena l’ennesimo capolavoro pugilistico del fuoriclasse ucraino, che nell’arco di dodici round di altissimo livello ha sconfitto nuovamente un caparbio Tyson Fury, affermando in modo inequivocabile la sua superiorità. I tre giudici hanno sancito un giusto e unanime 116 a 112, permettendo così al vincitore di conservare le cinture mondiali WBC, WBA e WBO.

Entrambi i pugili erano stati scossi nel corso del combattimento del 18 maggio e la loro consapevolezza di avere di fronte un avversario capace di procurargli dei danni è emersa nel primo round del rematch. Una classica ripresa di studio in cui l’unico colpo degno di nota è stato un montante al corpo di Fury che per un attimo ha sbilanciato il rivale in apertura di contesa.

Poi, pian piano, l’incontro è entrato nel vivo, con Usyk che ha iniziato a tessere la sua trama fatta di finte, colpi veloci e continui movimenti di gambe e di tronco mentre un Fury meno ballerino rispetto al primo match si accendeva a sprazzi, cercando di imprimere peso e consistenza nei suoi fendenti.

Le riprese si sono così susseguite senza che emergesse un chiaro padrone del combattimento, anche perché i due rivali hanno implementato sul ring piccoli accorgimenti tattici per limitare le qualità dell’avversario che la scorsa volta li avevano messi in crisi. Fury teneva il guantone destro ben alto a protezione del volto per disinnescare i ganci sinistri di Usyk, mentre l’ucraino schivava a meraviglia i montanti al volto con splendide torsioni circolari.

Dopo cinque round il campione in carica ha capito di dover rompere l’equilibrio e assumere l’iniziativa in modo più deciso. Del resto, lasciare il match sui binari della parità fino all’ultimo sarebbe stato rischiosissimo: troppi interessi erano legati a un’eventuale vittoria di Fury, che avrebbe permesso l’organizzazione di un lucroso terzo combattimento o magari avrebbe aperto le porte a un derby stellare contro Anthony Joshua, da disputarsi con le cinture mondiali in palio.

Usyk ha dunque premuto alla sua maniera col piede sull’acceleratore e dal sesto round in avanti ha iniziato a farsi preferire piuttosto nettamente. Le prodigiose doti di lettura di Fury, solitamente abilissimo nell’intuire con una frazione di secondo di anticipo le intenzioni dei suoi avversari, sono andate in frantumi contro l’estro e l’imprevedibilità del pugile ucraino.

Da Usyk non sai mai cosa aspettarti: tra un’azione e l’altra cambiano la velocità dei colpi, la loro traiettoria, l’angolo da cui li fa partire. Persino l’ordine con cui alterna colpi forti e colpi veloci muta continuamente: a volte parte con una sassata di prima intenzione, a volte la fa precedere da un colpetto interlocutorio, a volte da due. E quando tutto ciò viene eseguito su ritmi indiavolati, il malcapitato che gli sta di fronte viene regolarmente sopraffatto.

Ciò è accaduto in parte anche a Fury, che è scivolato indietro nel punteggio e ha visto l’incontro iniziare a sfuggirgli di mano. Il Gipsy King non si è dato per vinto e ha cercato di raddrizzare la rotta con tutti i mezzi di cui dispone. Nel nono round ad esempio si è concentrato in modo quasi ossessivo sul bombardamento al corpo, sperando di far leva sulla presunta vulnerabilità dell’addome di Usyk. Nel decimo ha provato a far valere la sua mole gargantuesca, appoggiandosi sul campione e cercando di schiacciarlo sotto il suo peso.

I pur generosi tentativi di Fury tuttavia hanno dato esiti soltanto temporanei e parziali. Anche quando è stato messo sotto pressione infatti, Usyk ha sempre conservato la calma, rendendosi protagonista del lavoro più pulito e facendo leva sul suo maggior fiato per aggredire il rivale ogni volta che quest’ultimo faceva un passo indietro per gestire le energie.

All’ingresso nei cosiddetti champioship round, il campione, a dispetto dei suoi 38 anni, saltellava ancora sulle punte dei piedi come un ragazzino, subissando il Gipsy King di combinazioni a getto continuo. L’ucraino ha poi dato prova di avere anche, come è noto, una mascella granitica, poiché negli ultimi secondi di un undicesimo round fin lì dominato ha dovuto assorbire un destro terribile e lo ha fatto senza scomporsi.

Tyson Fury ha dato fondo negli ultimi tre minuti a tutto il suo orgoglio, alla sua determinazione e alle energie che ancora gli restavano per tentare un disperato assalto finale. I suoi attacchi tuttavia, per quanto ammirevoli per tenacia e volontà, non hanno prodotto risultati significativi e il match si è concluso senza brividi finali, lasciando ai giudici il compito di determinare il vincitore.

Nessun dubbio sulla bontà dell’operato della terna giudicante dal punto di vista di chi vi scrive: se per cinque riprese l’incontro era rimasto nella terra di nessuno, rendendo legittime le più svariate interpretazioni in termini di punteggio, dal sesto round in poi il campione ha preso saldamente in mano le redini del match e non le ha più abbandonate fino alla campana finale.

Molti dopo questo trionfo porranno l’accento sulle qualità fisiche e caratteriali di Oleksandr Usyk, glorificando la sua portentosa resistenza aerobica, la sua grinta impareggiabile e il suo coraggio leonino. Tutto vero naturalmente, ma è importante sottolineare che a tali qualità si affianca un repertorio tecnico che raramente si è visto nella storia della categoria regina.

Opposto a un avversario nettamente più alto, dotato di braccia lunghissime, velocità di esecuzione e grande varietà di colpi, Usyk si è tramutato in un manuale vivente su come accorciare la distanza, come difendersi in maniera attiva, come schivare e contrattaccare in mille modi diversi.

Nell’arco di ventiquattro round, l’ucraino si è dimostrato in modo chiaro il peso massimo migliore al mondo e ieri ha anche fatto a pezzi la narrativa distorta che per tanti mesi è stata associata da alcuni commentatori al primo match: quella di un Fury dominante, sconfitto soltanto grazie a un colpo fortunato. In realtà, a maggio come ieri, il Gipsy King ha perso semplicemente perché si è trovato di fronte un avversario più forte di lui. Un campione monumentale, che sarebbe stato competitivo ai massimi livelli in qualunque epoca storica.

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