La dura vita del maestro di boxe

DiMario Salomone

Giu 24, 2024

Ti aggiri taciturno tra i sacchi della tua palestra. Controlli che tutto sia in ordine, che ogni attrezzo sia nel luogo più consono per l’allenamento che verrà. Dai l’ennesimo sguardo agli appunti sulla tua agenda: gli esercizi da fare, i tempi di riposo, la divisione dei compiti tra gli atleti, gli obiettivi di apprendimento che speri di far raggiungerei ai tuoi ragazzi. Poi il primo saluto si sente arrivare dalla porta: i pugili arrivano, uno dopo l’altro, con i loro borsoni in spalla, ti passano davanti sorridendo gioviali e si dirigono verso gli spogliatoi. Anche tu sorridi: è il momento dello scherzo, della goliardia, delle prese in giro che fanno gruppo e rendono possibile per chi pratica lo sport più individuale del mondo, sentirsi parte di una squadra. Ma quando l’orologio segna l’ora stabilita e l’allenamento prende ufficialmente il via, il tuo volto si trasforma in una maschera di serietà e intransigenza. I ragazzi sanno che durante l’esecuzione degli esercizi non si scherza: che siano lì semplicemente per tenersi in forma e sfogare lo stress o che abbiano il sogno di diventare un giorno campioni del mondo non fa differenza, al tuo fischio ogni centimetro del loro corpo deve dare il massimo.

Hai occhi ovunque, anche dietro la testa: il ragazzo più lontano da te è convinto che non ti accorgi del fatto che si prende sempre qualche secondo di pausa in più o che appena ti giri abbassa l’intensità, ma non è così. Tu noti tutto, anche se a volte fai finta di nulla e anche da questi piccoli sotterfugi capisci chi ha speranze di dar vita a una bella carriera e chi non potrà far altro che vantarsi di essere un pugile al bar con gli amici. Poi arriva lui, la new entry che non ti aspetti. Non ha mai fatto pugilato, eppure fin dal suo sguardo, quando ti dice che vuole imparare, ti accorgi che non è come gli altri. Quando poi lo vedi all’opera te ne convinci ancora di più. In pochi minuti ha già imparato a mettersi in guardia, si muove sulle gambe con naturalezza, i suoi colpi al sacco, benché debba ancora perfezionare la tecnica di esecuzione, producono un rumore secco, come quello di una schioppettata.

I giorni passano e il tuo pupillo cresce a vista d’occhio. Non manca mai, si presenta in palestra di mattina e di pomeriggio, sempre puntuale. Mentre i suoi compagni di allenamento ti implorano di concedergli una pausa e arrancano con la lingua di fuori e le braccia appesantite, lui ti chiede un altro round, un’altra sfida, un altro ostacolo da superare. Nel vederlo diventare un vero pugile senti nel tuo animo un moto d’orgoglio, ma sai che non puoi permetterti di mostrare troppa soddisfazione perché non vuoi che il ragazzo si monti la testa. E così resti imperturbabile mentre lui sul ring vola come una farfalla e punge come un’ape, dosi i complimenti con cura e non gli fai mai mancare i rimproveri quando ti sembra che possa fare ancora di più e superare un ulteriore gradino sulla scala verso la grandezza.

Ogni incontro è nello stesso tempo una sofferenza interiore e un tripudio di emozioni. All’esterno sei freddo e razionale, urli i tuoi consigli con prontezza e tra un round e l’altro lo rassicuri e gli spieghi come portare a casa la vittoria. Ma nel tuo intimo provi quasi dolore fisico ogni volta che viene colpito, resisti all’impulso di mimare i colpi che vorresti vedergli portare, perfori con lo sguardo il cronometrista mentre aspetti impaziente che la campana suoni e il braccio del tuo atleta venga alzato in cielo ancora una volta. E così di vittoria in vittoria il suo nome inizia a circolare: fioccano le interviste, cresce il numero degli spettatori, i promoter del professionismo iniziano a chiedere informazioni e tutt’a un tratto la vecchia routine viene completamente sconvolta. Quel ragazzo semplice che divideva la sua vita tra scuola, casa e palestra non esiste più: ora è onnipresente sui social, rilascia dichiarazioni a destra e a manca, si veste e si comporta in modo da attirare l’attenzione e creare un personaggio. La notorietà si è abbattuta sul vostro rapporto allenatore – atleta e il peggio deve ancora venire.

All’inizio non ci fai caso ai suoi sguardi contrariati quando lo rimproveri, alle richieste di fare un esercizio diverso da quello che gli proponi, all’aria di sufficienza che dimostra quando lo fai salire sul ring con un compagno meno bravo di lui. In parte il tuo inconscio si rifiuta di accettare che qualcosa sia cambiato: vuoi riprendere il filo dove lo avevi lasciato prima dell’ultima grande vittoria, salire con lui gli scalini che mancano per arrivare alla gloria, ma la realtà ti arriva in faccia come un treno in corsa. Il ragazzo si sente arrivato, non ti ascolta più con l’attenzione e la smania di imparare di un tempo; al contrario, è convinto di saperne ormai più di te, di essere già un campione, di non avere rivali. I suoi atteggiamenti da indolenti diventano manifestamente ribelli: ti contesta il metodo di lavoro, pretende di fare a modo suo, cita Tizio, Caio e Sempronio che su internet o in un’altra palestra gli hanno spiegato come si fa. Alla lunga non ne puoi più ed esplodi: l’ennesima goccia fa traboccare il vaso e gliene dici di tutti i colori mentre lui inveisce a sua volta e se ne va sbattendo la porta. La favola si è interrotta sul più bello e tu resti per alcuni minuti immobile fissando il vuoto e immaginando ciò che avrebbe potuto essere e che non è stato.

I suoi match futuri li guarderai tutti, magari di nascosto, senza ammetterlo di fronte a nessuno. E continuerai a sentirti orgoglioso nel vedere quel colpo su cui tanto hai lavorato o quella schivata che gli hai insegnato a padroneggiare. Non diventerà un campione: gli manca l’umiltà, un ingrediente troppo importante per poterne fare a meno. Sbatterà il muso contro la dura verità, si accorgerà con sgomento di non essere il fuoriclasse che giornalisti compiacenti dipingevano e vedrà dileguarsi uno dietro l’altro i finti amici che erano accorsi sul suo carro quando sembrava invincibile. Un giorno forse, guardandosi indietro, capirà che doveva restare al tuo fianco ma sarà troppo tardi. Intanto tu ricominci tutto da capo e giuri a te stesso: “Mai più!”. Mai più un atleta ti scombussolerà l’animo fino a quel punto, mai più qualcuno ti spingerà a investire tempo e denaro per lui in quantità industriale, mai più ti lascerai cullare dal sogno di avere per le mani un diamante da sgrezzare. Il tuo sguardo in palestra è più fosco di prima, i tuoi modi più burberi, la tua pazienza più precaria. Ma poi una settimana, un mese o un anno dopo, un altro ragazzino in cerca di una guida è lì che pende dalle tue labbra, mette in mostra il suo talento ancora acerbo e assorbe i tuoi insegnamenti come spugna. E allora ci ricaschi, perché sei un Maestro e per quanto tu possa provare a ribellarti, non puoi andare contro la tua natura: sei destinato a vivere per i tuoi ragazzi, sognare, soffrire e crescere insieme a loro.

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