Sono passati esattamente 25 anni da quella magica notte di boxe che il 31 luglio del 1999 vide l’immenso campione statunitense Michael “Manitas de Piedra” Carbajal compiere il suo ultimo prodigio tra le sedici corde. In quella data il veterano del ring, che pur non avendo ancora compiuto 32 anni era considerato da molti un pugile in declino in virtù delle troppe logoranti battaglie sostenute, si impose per KO tecnico sulla giovane promessa messicana Jorge “Travieso” Arce facendo suo il titolo mondiale WBO dei pesi minimosca.
La giovane promessa contro il veterano: una classifica sfida intergenerazionale
Quando un giovane astro nascente del pugilato inizia a mostrare al mondo di possedere un talento speciale, capita di frequente che i suoi manager decidano di testarne le qualità contro un grande nome considerato in declino. In tal modo è possibile far crescere il livello di esperienza del ragazzo pubblicizzando al contempo l’evento con grande enfasi in virtù della fama del rivale. Il tutto, in linea teorica, senza rischi eccessivi. È ciò che pensava molto probabilmente il team di Jorge Arce quando fu formalizzato l’accordo per affrontare Carbajal nella Plaza de Toros di Tijuana. Il giovane “Travieso” aveva appena compiuto 20 anni ma aveva già ambizioni importanti essendosi laureato campione del mondo WBO sette mesi prima e avendo poi brillantemente difeso la cintura in trasferta a Sassari contro il nostro Salvatore Fanni.
Michael “Manitas de Piedra” Carbajal, il cui soprannome era un chiaro omaggio al suo idolo Roberto Duran, era stato dal canto suo un’autentica star. Già campione del mondo per tre volte nella categoria dei minimosca, l’americano aveva sciorinato tutto il suo talento nella prima metà degli anni ’90 rendendosi protagonista di svariate sfide indimenticabili tra cui spicca la storica trilogia contro il fortissimo pugile messicano Humberto Gonzalez. Da allora tuttavia era passata tanta acqua sotto i ponti e da qualche anno Carbajal dava l’impressione di non essere più l’inarrestabile guerriero dei suoi anni migliori. Quella contro Arce doveva essere dunque nell’immaginario degli organizzatori l’ultima passerella per il campione in declino prima di appendere i guantoni al chiodo e in effetti lo fu, ma in un senso ben diverso da quello atteso alla vigilia…
La boxe è crudele: basta un colpo per ribaltare tutto
Chi ha seguito la carriera di Jorge Arce negli anni successivi al match di cui vi stiamo parlando ricorderà senza dubbio il suo stile garibaldino, al limite dell’incoscienza, che lo ha portato spesso e volentieri a scatenare vere e proprie guerre furibonde per l’esaltazione e la gioia del pubblico. Quel giorno a Tijuana tuttavia, il ragazzo messicano sapeva di avere di fronte una leggenda del ring e si regolò di conseguenza, proponendo una strategia tattica astuta ed efficace. Arce lasciò infatti il centro del ring al rivale, muovendosi rapidamente intorno a lui e azionando veloci combinazioni di due o tre colpi ogni volta che Carbajal cercava di accorciare la distanza.
Dopo un primo round di studio che lo sfidante potrebbe essersi aggiudicato in virtù della maggiore incisività dei suoi fendenti, l’idolo locale prese dunque chiaramente il sopravvento. Carbajal non riusciva a star dietro al giovane campione in termini di ritmo e rapidità di esecuzione: per ogni colpo che metteva a segno se ne vedeva arrivare tre in risposta e il movimento incessante di Arce gli impediva di dare continuità al proprio lavoro, costringendolo a ricominciare da capo l’attacco dopo ogni scambio ravvicinato. Dopo cinque riprese tutto sembrava procedere come il team del campione in carica presagiva alla vigilia, ma la strada da percorrere era ancora lunga e irta di pericoli…
Come un fulmine a ciel sereno, nel bel mezzo del sesto round, arrivò il destro di Carbajal. Il veterano del ring vide il varco giusto, caricò il suo colpo migliore e impattò sulla mandibola del rivale spedendolo al tappeto nello stupore generale. “Manitas de Piedra” cercò di premere ulteriormente col piede sull’acceleratore alla ricerca del KO, ma dopo essersi rialzato Arce strinse i denti e lottò come un leone riuscendo ad arrivare alla fine della ripresa.
Dopo lo spavento, il campione riprese con pazienza a tessere la sua tela. Il suo movimento costante, le sue braccia veloci, la sua freschezza atletica impedirono infatti a Carbajal di dare continuità al suo momento favorevole e lo sfidante riprese a perdere terreno sui cartellini anche in virtù di un occhio destro sempre più gonfio e ormai prossimo a chiudersi del tutto che peggiorava minuto dopo minuto. Entrando nei championship round il vantaggio ai punti di Jorge Arce, nonostante l’atterramento subito, appariva dunque rassicurante. Come si seppe in seguito, i tre giudici avevano assegnato a Carbajal soltanto il sesto round e avevano quindi ben sette punti di margine in favore del campione.
Nell’undicesima ripresa Travieso diede l’impressione di essere perfettamente consapevole della necessità di evitare rischi inutili. Il messicano si mosse in circolo senza sosta, limitò al minimo gli scambi, gestì il pressing dello sfidante con la calma e l’assennatezza di un fighter esperto ma poi di punto in bianco decise di caricare un destro potente e quella scelta, apparentemente banale, fu la sua rovina. Carbajal si accorse dell’occasione propizia in una frazione di secondo e fece partire lui stesso un destro in simultanea con quello del rivale, colpendolo violentemente alla punta del mento. Per un attimo Arce rimase quasi paralizzato sul posto, poi fu investito da un’ulteriore raffica di colpi, si aggrappò all’avversario, incespicò e cadde. Ci sarebbero stati tutti gli estremi per procedere al conteggio, ma l’arbitro Raul Caiz Sr fu di diverso avviso ed esortò immediatamente il campione a rialzarsi. Quando però quest’ultimo si mostrò instabile sulle gambe sbilanciandosi e retrocedendo involontariamente verso le corde, il direttore di gara decretò il KO tecnico ponendo fine alle ostilità.
Senza voler togliere nulla alla grandissima impresa sportiva di Michael Carbajal, che nonostante un occhio tumefatto, nonostante il peso dei 52 incontri precedenti sulle spalle, nonostante una situazione ormai apparentemente disperata non smise mai di cercare il varco giusto per assestare la zampata decisiva, occorre dire che lo stop arbitrale fu leggermente controverso. Se il signor Caiz avesse infatti eseguito un conteggio dopo che Arce si era inginocchiato, visibilmente scosso dai colpi dello sfidante, forse il giovane pugile messicano avrebbe recuperato la lucidità necessaria per rimettersi stabilmente in piedi e portare a termine il combattimento.
D’altro canto in un certo senso è stato meglio così. Jorge Arce infatti si riprese alla grande da quella debacle e mise in piedi negli anni seguenti una fantastica carriera di successo, segno che la sconfitta per KO non lo aveva né demoralizzato né incrinato nel fisico. Michael Carbajal poté invece appendere i guantoni al chiodo da vincente, avendo dipinto un ultimo strabiliante capolavoro a coronamento di un percorso da autentico artista del ring.