Hertzko Haft: da “Belva Giudea” nei campi nazisti a rivale di Rocky Marciano

Sono stati tanti i prigionieri dei campi di concentramento nazisti costretti a battersi l’uno contro l’altro a mani nude per il divertimento degli ufficiali. Spesso erano uomini deboli e denutriti che mettevano in gioco la propria vita: tanti sfortunati perirono così, vittime dimenticate di un gioco sanguinario. Ci fu tuttavia anche chi riuscì a costruirsi la propria salvezza, come l’ebreo polacco Hertzko Haft, nato 99 anni fa a Belchatow e passato dalle lotte selvagge della prigionia alle luci sfarzose dei ring americani, dove il suo destino si incrociò con quello del grande Rocky Marciano. Nell’anniversario della nascita di Haft vi raccontiamo dunque la sua incredibile storia.

L’infanzia negata e l’inizio del calvario

Non tutti hanno la fortuna di potersi permettere un’infanzia. Quando Hertzko aveva cinque anni suo padre morì di tifo e il bambino, ultimo di otto figli, fu catapultato nella vita degli adulti senza aver avuto il tempo di assaporare la spensieratezza dei suoi coetanei. A quindici anni era già intenzionato a sposare la bella Leah Pablanski e sfidava gli occupanti tedeschi traportando merce di scambio in piena notte per aiutare i fratelli Aria e Peretz a procurarsi di che vivere. Il suo immenso coraggio lo spinse addirittura a creare un diversivo per permettere ad Aria di fuggire durante il reclutamento per i cosiddetti “campi di lavoro”; i tedeschi per ritorsione presero lui e da lì iniziò il suo calvario. Dopo vari spostamenti e lavori forzati, Haft approdò al tristemente famoso campo di Auschwitz-Birkenau e ricevette l’infamante tatuaggio del numero identificativo. Per quanto la sua robusta costituzione gli avesse permesso di sopportare privazioni e sofferenze, il suo crollo psicofisico era ormai prossimo quando il trasferimento nel campo di Jaworzno si rivelò la sua salvezza.

La “Belva Giudea”: vincere o morire

Hertzko venne infatti adocchiato da un ufficiale delle SS che gli garantiva un trattamento di favore: il tedesco aveva compreso che la guerra volgeva al peggio e voleva guadagnarsi una testimonianza favorevole. Man mano che Haft recuperava un po’ di peso all’ufficiale venne un’idea: farlo combattere contro gli altri detenuti e scommettere su di lui. Il giovane si sarebbe buttato nel fuoco pur di restare nelle grazie del suo protettore e così iniziò a mettere KO i suoi avversari, nessuno dei quali veniva più rivisto: iniziarono a chiamarlo la “Belva Giudea”. La determinazione di Haft era talmente grande da permettergli di imporsi anche su un vero pugile, un prigioniero di guerra ex campione francese dei massimi che finì KO come tutti gli altri. Le lotte clandestine tuttavia stavano per finire poiché i russi si avvicinavano e i campi di concentramento venivano abbandonati: iniziavano le cosiddette marce della morte, lunghissimi trasferimenti a piedi che lasciavano pochi superstiti. Le condizioni nei campi in cui si sostava erano sempre più dure, al punto da provocare casi di cannibalismo.

Fuga per la vittoria, inseguendo un sogno impossibile

Durante l’ennesima marcia Hertzko decise di fuggire buttandosi tra gli alberi di un bosco e dopo mesi di vagabondaggio fu ritrovato dai soldati americani: la guerra era finita! Per un po’ di tempo il giovane si stabilì in Baviera dove tra l’altro vinse un torneo di pugilato per soli ebrei, ma poi decise di imbarcarsi per gli Stati Uniti. Benché avesse viaggiato sotto falso nome, alcuni manager di boxe lo rintracciarono rapidamente: la notizia della sua vittoria del torneo di Monaco era arrivata oltreoceano. Hertzko si lasciò convincere soltanto per via di una segreta speranza: se fosse diventato famoso grazie alla boxe forse la sua Leah sarebbe riuscita a rintracciarlo. Questo sogno gli dava una forza smisurata e gli permise di vincere dieci incontri di fila: ormai il suo nome compariva sui giornali e alcuni dei suoi match venivano trasmessi in televisione. La tanto attesa telefonata di Leah però non arrivava e i compensi economici erano miseri: Haft perse motivazioni e senza l’ardore che lo aveva animato i suoi limiti tecnici vennero a galla facendolo precipitare in un vortice di sconfitte.

L’ultima chance: Haft vs Marciano

Dopo l’ennesima delusione contro il talentuoso Roland La Starza, che lo mise KO in quattro round, la storia di Haft tra le sedici corde sembrava al capolinea. Un’insperata opportunità bussò tuttavia alla sua porta: l’astro nascente Rocky Marciano, già autore di 17 vittorie, cercava un avversario. Rocky era sulla bocca di tutti e batterlo avrebbe garantito a Hertzko una fama enorme in tutto il Paese. La battaglia fu breve ma furibonda: Haft ribatteva colpo su colpo e per pochi minuti sembrò in grado di giocarsela. Dalla metà del secondo round tuttavia Marciano prese il sopravvento e nel terzo mise KO il temerario rivale: la carriera di pugile di quello che era stato la “Belva Giudea” era finita. Per tutta la vita Haft sostenne che quel match era stato truccato dalla malavita: a suo dire dei loschi figuri erano entrati nel suo spogliatoio prima dell’incontro e gli avevano intimato di perdere se non voleva essere ucciso. Tale episodio non trova riscontri oggettivi e lo stesso figlio di Hertzko, Alan Haft, che ne ha curato la biografia, non ha mai creduto alle parole del padre su questo punto.

Un incredibile ricongiungimento per chiudere il cerchio

Appesi i guantoni al chiodo e abbandonata la speranza di ricongiungersi col suo primo amore, Haft si sposò, ebbe tre figli e aprì un piccolo negozio di frutta e verdura. Per quanto possa sembrare incredibile, Hetzko e Leah erano però destinati a incontrarsi un’ultima volta. Nel 1963 infatti l’ex pugile ricevette una telefonata dall’associazione dei sopravvissuti di Belchatow: Leah Pablanski viveva a Miami col marito e usava il cognome di quest’ultimo: Lieberman. Haft non ci pensò due volte, portò la famiglia in vacanza in Florida e dopo aver costretto il figlio Alan a chiamare tutti i Lieberman dell’elenco telefonico ottenne il sospirato appuntamento. La Leah che si trovò di fronte era molto diversa da quella della sua adolescenza: un tumore l’aveva ridotta in fin di vita, tanto che ormai viveva chiusa in camera e non voleva lasciarsi vedere da nessuno al di fuori del marito. Ma per il suo Hertzko fece un’eccezione: i due passeggiarono in giardino e si scambiarono le ultime parole di affetto, dopodiché il nostro eroe tornò alla sua vita con la sensazione di aver finalmente chiuso il cerchio della sua rocambolesca esistenza.

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