Intervista a Breidis Prescott, il pugile che scioccò il mondo travolgendo Amir Khan

DiMario Salomone

Ott 25, 2024 #UK

Nelle previsioni degli organizzatori, quello che Amir Khan si apprestava a disputare la sera del 6 settembre 2008 doveva essere poco più di un incontro di routine, un altro piccolo passo del talentuoso pugile inglese di radici pakistane verso il titolo mondiale. Lo pensavano verosimilmente anche gli spettatori che si riversarono alla Manchester Arena e che rimasero letteralmente a bocca aperta nel vedere il loro beniamino travolto in meno di un minuto dal misterioso Breidis Prescott, venuto dalla Colombia per stravolgere le quote degli allibratori rendendosi protagonista di una scioccante sorpresa.

Fisico longilineo, braccia velocissime, colpi esplosivi come frustate e stile spettacolare: Prescott, in quel minuto scarso di combattimento, diede l’impressione di avere tutte le carte in regola per dare vita a una carriera brillante e per lasciare il segno nel mondo del pugilato. Non è andata così: negli anni successivi a quel clamoroso e magnifico trionfo, in seguito ad alcune amare sconfitte, colui che sembrava una promessa destinata a spiccare il volo disse addio ai suoi sogni di gloria per poi trasformarsi progressivamente in un collaudatore, banco di prova per giovani guerrieri in rampa di lancio.

Parte non trascurabile della responsabilità del mancato approdo di Breidis Prescott sui massimi palcoscenici mondiali va attribuita a chi lo ha gestito in maniera maldestra e sconclusionata nel periodo cruciale della sua carriera. Tra continue trasferte nella tana del lupo, avversari inadatti alle sue caratteristiche e sfide proibitive accettate con brevissimo preavviso, il colombiano è precipitato in un vortice negativo da cui non è riuscito a riemergere.

Nondimeno, le immagini iconiche ed emozionanti di quel ragazzo dal sorriso radioso che saltella sul ring roteando il braccio in segno di vittoria, in un’arena ammutolita per lo shock, mentre il suo team lo insegue per abbracciarlo e alzarlo in trionfo, resteranno per sempre nella memoria degli appassionati di questo sport. Breidis Prescott ha gentilmente accettato di parlare con noi della sua carriera professionistica.


Quando il 6 settembre del 2008 si recò in Inghilterra per affrontare il già famoso Amir Khan, soltanto i veri esperti di boxe avevano sentito parlare di lei e molti credevano fosse predestinato alla sconfitta. Con quanta fiducia nei suoi mezzi salì sul ring quella sera? Era convinto in cuor suo di portare a casa la vittoria?

Quando mi parlarono del match contro Amir Khan, io naturalmente ero in allenamento, ma non mi stavo preparando per un combattimento specifico. Quando mi dissero “Hai un match in Inghilterra” io chiesi “Di che si tratta?” e mi risposero “Si tratta di tanta roba…” Quindi partii e quando arrivai in Inghilterra mi resi conto con sorpresa di quanto fosse importante il mio avversario. Io non sapevo nemmeno chi fosse Amir Khan, ma al mio arrivo vidi che tutti parlavano di lui, da ogni parte. Nell’aeroporto stesso c’era un poster di Amir Khan! Fin da quando le persone iniziarono a farsi le foto con me io dissi a tutti che avrei vinto al quarto round. A furia di dirlo sono entrato in questa mentalità e mi sono convinto che avrei chiuso l’incontro in quattro riprese. Chiaramente non sempre le cose vanno come uno si aspetta, ma io salivo sempre sul ring con l’intenzione di battermi e dimostrarmi il migliore. Beh, grazie a Dio quella sera vinsi!

La sua prima sconfitta maturò per Split Decision contro il messicano Miguel Vazquez, pugile dallo stile molto elusivo e particolare che si impose ai punti di un soffio pur essendo finito al tappeto nel primo round. Ritiene che quella sera i giudici presero la decisione giusta o crede di essere stato penalizzato?

Il match in verità fu molto equilibrato. Alla fine pensai che avrebbero alzato la mia mano, del resto ero il favorito della vigilia… Invece no. Fu un colpo duro per me, perché la vittoria su Amir Khan mi aveva entusiasmato molto e mi aveva fatto conoscere a livello mondiale. Perdere contro Vazquez mi fece crollare il morale a terra.

Subito dopo quella battuta d’arresto si recò nuovamente in Inghilterra per affrontare Kevin Mitchell, un altro pugile mobile e attendista, uno stile che le rendeva difficile esprimere al meglio le sue qualità. Con il senno di poi ritiene che fu un errore accettare quella trasferta invece di battersi contro un avversario più adatto alle sue qualità di picchiatore fulminante?

Il match contro Mitchell mi porta ad affermare che i miei promoter non ebbero molta cura di me. Dopo aver battuto Amir Khan credevo di essere sulla buona strada per disputare il titolo mondiale: ero ben classificato nei ranking di tutte le Federazioni e loro hanno iniziato a sballottarmi da un posto all’altro. Io ero un pugile che accettava tutti i match, non mi importava se l’incontro fosse in casa del mio avversario, quindi quando mi dissero di andare in Inghilterra per affrontare Mitchell non ebbi esitazioni. Lui era molto rapido e mi mise in grossa difficoltà. Il ragazzo era molto ben preparato, in più mi diede una testata che mi scombussolò e mi rese poco lucido nel prosieguo del combattimento.

Se contro Vazquez il verdetto sarebbe potuto andare all’uno o all’altro, il suo match disputato in Irlanda del Nord contro Paul McCloskey secondo la maggioranza degli osservatori la vide vittima di una grave ingiustizia.

Penso che nel match contro Paul McCloskey io sia stato derubato. Benché McCloskey fosse un pugile molto difficile da affrontare, schivasse moltissimi colpi e avesse un ottimo movimento del tronco, secondo me vinsi tra gli otto e i nove round. Eppure diedero la vittoria a lui. Questo successe perché i miei promoter mi spingevano a combattere in Paesi stranieri; io avrei voluto combattere a Miami, dove ero di casa, ma loro preferivano portarmi in trasferta e intascare le percentuali garantite dai promoter dei miei avversari.

Subito dopo quella discutibilissima sconfitta ai punti diede vita contro Mike Alvarado a un match sensazionale ed emozionante. Nella prima metà lei fu protagonista di una performance prodigiosa, portando il suo avversario sull’orlo del collasso, ma poi poco a poco si fece rimontare prima del crollo definitivo. Era in condizioni atletiche imperfette quella sera oppure spese semplicemente troppe energie nelle prima parte del combattimento per reggere fino in fondo?

La sconfitta contro Mike Alvarado fu molto dolorosa per me. Venivo dal match contro McCloskey in Irlanda del Nord e dopo essere atterrato negli Stati Uniti ero tornato qui in Colombia dove mi lasciai andare un po’. Sarò sincero: quando mi chiamarono per dirmi che avevo un match in programma contro Mike Alvarado ero con un mio amico e stavamo bevendo birra. Dopo aver riagganciato gli dissi “Non posso berne più” Preparai le mie cose e il giorno dopo partii per gli Stati Uniti. Tutto il mondo ha visto quanto male feci ad Alvarado nella prima parte dell’incontro. Di fatto, a parti invertite, se lui fosse partito come sono partito io, il match sarebbe stato fermato dall’arbitro al quarto round. Poi dal settimo round lui iniziò a recuperare e io iniziai a calare. Alvarado era molto forte e aveva molto coraggio. Alla fine l’arbitro mi fermò, ma io credo sia stato più per la stanchezza che per i colpi subiti.

L’ultima domanda che vorrei farle sulla sua carriera di pugile professionista riguarda Terence Crawford, che lei affrontò quand’era ancora un prospect e che oggi è invece uno dei tre migliori pugili P4P del pianeta. Dopo averci combattuto si sarebbe aspettato che raggiungesse simili traguardi? Ebbe la sensazione di battersi contro un fuoriclasse?

Prima di affrontare Crawford io mi stavo preparando per combattere contro un pugile russo di cui non ricordo più il nome. Sei giorni prima del match mi chiamarono per dirmi che non avrei più dovuto combattere contro il russo e che avrei affrontato Crawford. “Non ti preoccupare, vincerai lo stesso” mi dissero. Io accettai, non me importava niente. Crawford è un destro naturale che però combatte spesso in guardia mancina e si muove benissimo. Sul momento non pensai che sarebbe arrivato dov’è ora, però mi resi conto che era un pugile molto intelligente, molto difficile da affrontare, veloce… E quando si ferma a scambiare i suoi colpi si fanno sentire.

Grazie mille per la sua disponibilità.

Grazie a voi!

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