Sono passati esattamente 13 anni da una delle performance più maestose e significative del lungo regno di Wladimir Klitschko. Il 2 luglio del 2011 infatti, il colosso ucraino si esibì davanti alla folla gremita della Imtech-Arena di Amburgo in un autentico dominio contro quello che molti critici ritenevano il suo avversario più pericoloso da molti anni a quella parte, ovvero il carismatico fighter inglese David Haye. Le innumerevoli provocazioni di “Hayemaker”, che avevano caratterizzato la lunga fase di avvicinamento al match, si risolsero in un clamoroso nulla di fatto consacrando Klitschko come campione unificato WBO, IBF e WBA dei pesi massimi oltre che come degno dominatore della sua era. Torniamo dunque con la memoria a quella sfida tanto attesa nel giorno del suo anniversario per raccontarvi ciò che avvenne ad Amburgo quella sera.
Teste mozzate e stretta di mano negata: la strategia psicologica di Haye
Quando David Haye annunciò il suo passaggio alla categoria regina dopo aver riunificato ben tre cinture mondiali tra i pesi cruiser, gli appassionati di tutto il mondo iniziarono subito a pregustare un suo confronto con uno dei fratelli Klitschko. Ai tempi la categoria dei massimi viveva infatti un’epoca di scarso appeal: i due colossi ucraini sbaragliavano senza rischi e senza patemi tutti gli sfidanti che gli venivano contrapposti e avendo promesso alla madre che non avrebbero mai combattuto l’uno contro l’altro, lasciavano gli amanti degli heavyweight privi di spettacoli all’altezza delle loro aspettative. Lo stile sparagnino di Wladimir, divenuto estremamente conservativo e prudente dopo le sconfitte prima del limite subite in gioventù, irritavano molti fan, desiderosi di vederlo finalmente impegnato contro un pugile dotato di qualità offensive di prim’ordine.
Con la sua esplosività fuori dal comune David Haye sembrava rispondere all’identikit ricercato e così la notizia del contratto già firmato tra i due nel 2009 fu accolta da entusiasmo e curiosità. L’ex dominatore dei cruiser tuttavia “si fece desiderare”: all’ultimo momento si tirò indietro dal match, iniziò poi una trattativa con Vitali ed infine preferì affrontare il più abbordabile Nicolai Valuev, appropriandosi del titolo WBA con una scialba vittoria ai punti. Quando finalmente Haye e Wladimir raggiunsero l’accordo definitivo nel 2011, Klitschko aveva tutta l’intenzione di punire l’insolenza del rivale: il pugile inglese si era mostrato più volte in pubblico con una maglietta raffigurante se stesso intento a sollevare le teste mozzate dei due fratelli Klitschko e aveva inoltre rifiutato le strette di mano in occasione delle conferenze stampa. Gesti forse legati a una strategia psicologica finalizzata a spingere Klitschko a un match scriteriato all’arma bianca.
La grande attesa non ripagata dal ring
Il match vibrante atteso spasmodicamente dagli appassionati, abituati da troppo tempo all’assenza di emozioni della categoria dei massimi, non vide mai la luce. Eppure le aspettative erano davvero alte: più di 60mila persone assistettero alla sfida dal vivo e si stima che circa 500 milioni di spettatori abbiamo visto il match in diretta attraverso vari canali di trasmissione. È lecito supporre tuttavia che gran parte di costoro restò delusa e la principale responsabilità del mancato spettacolo va attribuita alla strategia che David Haye mise in campo quella sera.
Persuaso di poter approfittare di un errore dell’avversario, castigandolo con uno dei suoi famigerati colpi d’incontro e aggiudicandosi il match per KO, il pugile inglese impostò una tattica estremamente elusiva muovendosi in modo frenetico lungo le corde, lasciando costantemente il centro del ring a Klitschko e aspettando il momento opportuno per piazzare la bomba risolutiva. La velocità degli spostamenti sulle gambe del pugile ucraino si rivelò però un antidoto perfetto per disinnescare completamente i piani di Haymaker. Wladimir pressava con decisione ma mantenendo sempre e comunque la giusta distanza per piazzare il suo jab e uscire subito dal raggio d’azione dell’avversario, i cui colpi finivano regolarmente a vuoto.
Appare paradossale a posteriori che prima del match l’allenatore di Haye Adam Booth abbia insistito a lungo affinché l’arbitro Genaro Rodriguez non permettesse a Klitschko di eccedere nell’uso del clinch: rifiutando sistematicamente la corta distanza e scappando per buona parte delle dodici riprese infatti, il campione WBA rese praticamente inutile per Wladimir il ricorso a tattiche ostruzionistiche. Le sollecitazioni di Booth ad ogni modo ebbero probabilmente un impatto, dato che Rodriguez mostrò grande severità nel penalizzare ufficialmente Klitschko nel settimo round per via di alcune spinte, apparse in verità piuttosto veniali. Haye cercò allora di approfittarne, lasciandosi cadere ad ogni minimo contatto ravvicinato, ma finì con l’indispettire il direttore di gara che si spazientì a tal punto da contare l’inglese dopo l’ennesima caduta nel corso dell’undicesima ripresa.
Non c’è molto da raccontare sui contenuti del match, poiché i round si susseguirono quasi in fotocopia. Haye ottenne qualche piccolo successo col suo famigerato destro largo soltanto occasionalmente e quasi sempre in maniera sporca e parziale, abbastanza da rendere equilibrato qualche round nella prima metà dell’incontro, ma certamente non abbastanza da mantenersi a galla nel punteggio. L’unico vero brivido, seppur di assai breve durata, gli spettatori lo provarono nell’ultima ripresa, quando un colpo giunto finalmente a segno in modo pulito stordì Klitchko per una frazione di secondo e lo costrinse a legare. L’ucraino tuttavia reagì da campione, si rifece subito con gli interessi e chiuse il match in crescendo meritandosi pienamente il largo vantaggio sancito dai giudici. Caustico fu il commento del celebre telecronista della HBO Larry Merchant nel vedere Haye col braccio alzato dopo l’ultima campana: “Perché Haye sta alzando il braccio? Forse è felice per il fatto che questo disastro sia terminato”. Proprio al microfono di Merchant, lo sconfitto tirò fuori dopo la proclamazione del verdetto un alibi singolare per spiegare la sua performance sottotono: disse di essersi rotto un dito del piede destro tre settimane prima e di non aver potuto dare forza ai suoi colpi per questo motivo, mancandogli la spinta della gamba d’appoggio. Una scusa che appassionati e addetti ai lavori hanno bollato in blocco come ridicola e biasimevole, indegna di un match di riunificazione dei titoli di quella portata. Enorme plauso fu invece giustamente tributato a Wladimir Klitschko, per molti anni accusato di essere un campione dalla mascella di cristallo capace di regnare soltanto grazie all’assenza di picchiatori degni di nota. Quella sera ad Amburgo il “Dottor Steelhammer” dimostrò di essere molto di più.