Salite vertiginose e tracolli devastanti: la carriera di “Iron” Mike Tyson è stata un vagone impazzito sulle montagne russe, un pendolo che ha oscillato senza sosta tra la gloria dei fuoriclasse e l’oblio dei reietti. Esattamente ventisette anni fa, il 28 giugno del 1997, andò in scena uno dei capitoli più clamorosi e discussi della sua storia tormentata: il celeberrimo morso all’orecchio che gli costò la squalifica nel match di rivincita contro Evander Holyfield e la sostanziale conclusione della sua carriera ai massimi livelli.
La batosta mai digerita e il ritorno alle origini
Di “Tyson vs Holyfield” si parlava già nel 1988, quando The Real Deal approdò nei massimi dopo aver riunificato le cinture tra i pesi cruiser. Da allora, tra un intoppo e l’altro, ultimo dei quali l’incarcerazione di Tyson per violenza sessuale, la sfida tanto attesa era stata rimandata di continuo fino a vedere finalmente la luce nel novembre del 1996. L’Iron Mike uscito di galera presentava il suo solito fisico scolpito nella roccia, ma le vittorie lampo che lo condussero all’agognata battaglia non furono certo abbastanza probanti da svelare al mondo in che misura il vero Tyson fosse tornato a dettare legge. Il match del ’96 difatti diede ben altre risposte rispetto a quelle che i tifosi dell’ex allievo di Cus D’Amato si aspettavano: Tyson, dopo una partenza promettente, si spense rapidamente affidandosi a colpi isolati e prevedibili invece che alle sue caratteristiche combinazioni veloci e fu facilmente disinnescato da Holyfield, in un crescendo di sofferenza interrotto dall’arbitro Mitch Halpern all’inizio dell’undicesimo round.
Tyson capì quella notte che per battere uno come Evander la sola potenza non gli sarebbe mai bastata: per potersi imporre nel rematch avrebbe dovuto riproporre la boxe che lo aveva reso grande, quella boxe fatta di flessioni fulminee sul busto, rientri improvvisi e combinazioni letali. Essendosi ormai guastati irreparabilmente i suoi rapporti con l’amico e maestro di un tempo Kevin Rooney, Mike contattò Richie Giachetti, l’allenatore che lo aveva aiutato a risollevarsi dalla clamorosa sconfitta contro James Douglas e che lo aveva guidato fino al giorno dell’incarcerazione. Il piano era semplice quanto ambizioso: recuperare le movenze degli anni d’oro e riprendersi il tetto del mondo alla sua maniera.
Testate e morsi: più che un match, una rissa da strada
L’attesissima rivincita ebbe luogo a Las Vegas a distanza di quasi otto mesi dal primo match e generò gli introiti economici più alti della storia del pugilato fino a quel momento. Un Mike Tyson insolitamente disciplinato e guardingo iniziò il match preoccupandosi soprattutto della fase difensiva, passando sotto i colpi del rivale con continue schivate e centellinando gli sforzi offensivi come probabilmente gli era stato suggerito da Giachetti. Holyfield al contrario partì con grande determinazione nel tentativo di sorprendere Mike con la sua aggressività e di impedirgli di trovare la fiducia necessaria per scatenarsi. Le prime due riprese dunque, pur senza sussulti drammatici, furono vinte chiaramente dal campione, ma il danno più significativo che quest’ultimo inflisse allo sfidante non derivò da un pugno, bensì da una testata. Due pugili brevilinei e veloci, abituati ad accorciare in maniera esplosiva e fulminea, possono facilmente rendersi protagonisti di impatti del genere, ma a distanza di anni resta il dubbio che quella testa protesa in avanti con cui Holyfield si fiondava negli scambi non fosse propriamente una mossa in buona fede.
Cosa sia scattato a quel punto nella mente di Iron Mike è difficile dirlo. Forse furono le testate e la brutta ferita che ne conseguì, forse fu lo scoramento dovuto alla partenza poco brillante, forse fu la pressione legata al rischio del definitivo ridimensionamento o forse fu un misto di queste e altre concause a generare nel cervello del possente picchiatore il classico corto circuito. Nel bel mezzo di un terzo round in cui stava decisamente crescendo di rendimento e in cui aveva già colpito il rivale con un paio di destri ben assestati, Tyson sputò il paradenti durante una fase di clinch e morse con inaudita violenza l’orecchio destro del campione per poi spintonarlo alle spalle mentre quest’ultimo si girava protestando vivacemente per l’accaduto. L’esperto arbitro Mills Lane si accorse immediatamente del fattaccio e dopo circa due minuti di stop, in un clima ormai surreale, decise di infliggere allo sfidante due punti di penalità e di far proseguire il combattimento. Purtroppo la breve pausa forzata non bastò a rasserenare un Tyson ormai fuori di sé e negli ultimi secondi della ripresa un nuovo tentativo di morso, questa volta all’orecchio sinistro di Holyfield, sancì l’inevitabile squalifica.
Le conseguenze di quell’orrenda pagina sportiva furono per Tyson molto pesanti. Più della multa di 3 milioni di dollari risultò infatti nefasta la revoca della licenza che lo tenne fermo per un anno e mezzo e lo condusse inevitabilmente verso il declino definitivo. Ciò che più conta tuttavia è che per quanto 22 anni fa rabbia, odio e violenza fecero bella mostra di sé su quel ring di Las Vegas, i rancori siano stati spazzati via dal trascorrere del tempo. Tyson e Holyfield si sono infatti pienamente riconciliati, al punto che fu lo stesso Mike nel 2017 a dare il benvenuto a Evander nell’International Boxing Hall of Fame, presentandolo al pubblico con le parole “Un mio amico, uno dei più grandi campioni di tutti i tempi”.