Se la pandemia di Covid-19 non avesse paralizzato tra le altre cose il mondo della boxe, l’instancabile Oliver McCall non avrebbe trovato probabilmente motivi validi per ritirarsi dal pugilato professionistico nonostante l’età avanzata. Un personaggio sui generis il “Toro Atomico”, capace di assorbire pugni durissimi per più di tre decenni, da quelli in allenamento di Mike Tyson a quelli validi per il titolo mondiale. Diamo oggi uno sguardo ravvicinato alla storia di questo pugile tanto temibile quanto sregolato che chiuse la carriera al nostro Francesco Damiani e che nel ’94 mandò gambe all’aria il grande Lennox Lewis.
Un pugile arginabile, ma duro come il marmo
Con la giusta tattica e la dovuta prudenza, McCall poteva essere disinnescato anche da pugili non eccelsi. Piuttosto piantato sulle gambe e abituato a proporre azioni offensive ripetitive e a tratti elementari, l’americano stentava a trovare il bandolo della matassa contro chi non gli concedeva bersaglio fisso. Così si spiegano le cinque sconfitte patite nei primi 24 match da professionista di un pugile le cui armi preponderanti si riducevano a un buon jab, un’immensa forza fisica e una singola azione eseguita a meraviglia: il destro di prima intenzione con cui incrociava il destro dell’avversario. Ma il vero asso nella manica del Toro Atomico era la sua mascella pazzesca: mai atterrato in vita sua, né in allenamento né in gara, né da dilettante né da professionista, McCall era semplicemente indistruttibile. Delle sue sessioni in palestra con Mike Tyson disse “Credo di aver sostenuto più di trecento round di sparring con Tyson e non mi ha mai messo giù. Io invece l’ho messo giù una volta”.
Da Damiani a Lewis, McCall sul tetto del mondo
La svolta della carriera del picchiatore americano si concretizzò nell’aprile del ’93, quando McCall incrociò i guantoni con Francesco Damiani a Memphis. L’italiano, che dopo la beffarda sconfitta contro Ray Mercer stava cercando di tornare ai piani alti, aveva già intrapreso il declino e dopo due riprese di ottimo livello si spense poco a poco fino a cedere nel corso dell’ottavo round: per McCall si spalancava la porta del titolo mondiale. Quanto fatto contro il nostro portacolori tuttavia fu un’inezia rispetto a quello che il Toro Atomico riuscì a combinare nella Wembley Arena l’anno successivo, quando il mondo intero rimase sotto shock nel veder crollare sotto il peso di un suo destro terrificante il grande Lennox Lewis. Il padrone di casa, peccando di presunzione, sfidò il rivale sul suo terreno preferito, ma quando nel corso del secondo round cercò di mettere a segno il suo destro venne incrociato alla perfezione dallo sfidante. BUM: l’azione preferita di McCall aveva funzionato alla grande!
Inghilterra dolce e amara: un regno durato poco
Il team di Lewis protestò con forza contro lo stop, ma la decisione dell’arbitro era stata legittima: pur essendosi rialzato in tempo, il britannico di origini giamaicane era infatti visibilmente instabile sulle gambe. Aver messo a segno il colpo della vita tuttavia non aveva cancellato i difetti di McCall, che emersero puntualmente nel corso della prima difesa, quando un Larry Holmes ormai 45enne lo mise in imbarazzo per larghi tratti, costringendolo a una faticosa rimonta nei round finali e a una vittoria ai punti risicatissima. La strada per detronizzare il campione era ormai stata tracciata e il passaggio di mano della cintura si consumò ancora una volta a Wembley, questa volta all’interno dello Stadium, davanti a circa 23mila spettatori. Questa volta, contro il muscolosissimo Frank Bruno, un selvaggio finale non bastò al Toro Atomico per sovvertire un punteggio fortemente compromesso nella prima parte della sfida e i giudici gli inflissero una sacrosanta sconfitta ai punti.
Il match più bizzarro della storia: McCall vs Lewis 2
Ben presto il Titolo WBC tornò vacante. Mike Tyson infatti, dopo averlo strappato a Bruno, preferì abbandonarlo per affrontare Evander Holyfield piuttosto che difenderlo contro Lewis. Fu così che Lennox e Oliver si trovarono nuovamente di fronte, stavolta a Las Vegas. Curiosamente il celebre allenatore Emanuel Steward, che per il primo match aveva fatto parte del team di McCall, si trovava all’angolo di Lewis in veste di allenatore capo. Dopo due round equilibrati, McCall incassò diversi colpi duri nel terzo ed ebbe un improvviso crollo nervoso: passeggiava svagato per il ring a mani basse, non tornava all’angolo dopo il gong e a fine quarto round iniziò addirittura a piangere! L’arbitro Mills Lane fece andare avanti lo show per un po’, ma alla fine fu costretto a decretare il KO Tecnico. Un epilogo imprevedibile? Non proprio. McCall nei mesi precedenti era stato arrestato due volte e aveva trascorso del tempo in un centro di recupero. La sua salute mentale era messa in dubbio da molti, ma il suo promoter Don King riuscì a convincere tutti a dare il via libera al match…
L’ultimo acuto e l’incapacità di dire basta
Due mesi dopo l’infausta rivincita con Lewis, McCall fu costretto al ricovero coatto in un ospedale psichiatrico e fu dichiarato mentalmente instabile e bisognoso di cure. Ciononostante ben presto la sua carriera ripartì e una striscia di dieci vittorie consecutive lo condusse all’ultimo treno di lusso della sua vita: una sfida al gigantesco e temuto Henry Akinwande a Las Vegas. Come al solito McCall perse terreno in avvio e giunse al decimo e ultimo round in svantaggio. Il suo destro però era ancora lì e a meno di 50 secondi dalla fine il colosso britannico si ritrovò al tappeto privo di sensi. Quel trionfo avrebbe potuto concedere al Toro Atomico un ultimo giro di giostra ai piani alti, ma l’americano si dimostrò incorreggibile: incappò nell’ennesimo arresto e vide la sua carriera interrompersi per più di due anni. Da quel momento in poi il percorso sportivo di McCall divenne un’ostinata corsa verso il nulla, l’avventura donchisciottesca di un uomo disperato che tra un match e l’altro continuava a fare il giro dei penitenziari e dei centri di disintossicazione, incapace di appendere i guantoni al chiodo. Forse se tutti quelli che in questi decenni hanno guadagnato soldi alle sue spalle si fossero spesi un minimo per aiutarlo, Oliver non avrebbe avuto bisogno di trovarsi tra sedici corde per essere sereno fin quasi ai 60 anni di età. Il nostro augurio per il suo futuro è che riesca finalmente a voltare pagina e a mostrarsi solido nella vita così come lo è sempre stato sul ring.