L’abbandono di un pugile: il ritiro di Ramirez visto dagli occhi di Andrea Sarritzu

Questa settimana vorrei parlarvi di un episodio in particolare: il ritiro di Robeisy Ramirez, due volte campione olimpico ed ex campione mondiale dei pesi piuma, che nel suo ultimo match, sabato scorso, ha disputato la rivincita contro l’attuale campione WBO Rafael Espinoza. Al sesto round ha alzato la mano, abbandonando la contesa a causa di un infortunio fisico molto importante.

Io esprimo il mio pensiero, facendo a lui i miei complimenti e un grande applauso, perché si è dimostrato un pugile con la P maiuscola: ha capito subito che le sue condizioni erano gravi e da uomo intelligente ha saputo fermarsi. I fatti lo hanno poi dimostrato, poiché le successive visite hanno evidenziato una frattura orbitale.

Tutto questo cosa significa? Significa che quando si è campioni dentro, se ci sono problemi tali da compromettere la salute, occorre fermarsi. Ramirez ha dimostrato che praticare la boxe non è soltanto fare a botte, ma che richiede la capacità di salvaguardare la propria persona sia fisicamente che mentalmente. Immagino quanto gli sia costato alzare la mano in segno di resa dopo mesi di allenamento, con tanti sacrifici fatti per disputare il suo match al 100%, un match che valeva un’intera carriera.

Fino al sesto round l’incontro era ancora in equilibrio, con Espinoza che dal mio punto di vista era in leggero vantaggio, quindi onore a Ramirez, perché fermarsi in quel momento e in quella situazione deve essere stato ancor più difficile che vincere un Titolo Mondiale. Mi auguro che dopo la sua guarigione si rimetta in gioco in modo da poter dimostrare il suo valore.

Mi esprimo in questi termini perché so personalmente cosa significa abbandonare una lotta, ammettere che il tuo avversario è più forte e vedere il tuo sogno di diventare campione passarti vicino e andare via. Ricordo bene il mio match valido Titolo Mondiale dei Pesi mosca IBF contro il campione in carica Moruti Mthalane…

Tre mesi e mezzo lontano da casa in preparazione, curando tutti i particolari (la tecnica, la forza fisica e i punti deboli), sapendo che colui che stavo per affrontare aveva non solo grandi doti tecniche, ma anche una forza fisica non indifferente. L’80% dei suoi match era finito per KO e i suoi ultimi due sfidanti ufficiali avevano rinunciato a battersi per il titolo proprio per questa ragione. Io invece, all’età di 35 anni, quando l’IBF mi ha dichiarato sfidante ufficiale, non ho saputo resistere e ho voluto disputare quell’incontro consapevole dei rischi.

Ho preparato il combattimento come non ho mai fatto, se non per il mio primo europeo vinto al Vigorelli di Milano: sapevo che partivo sfavorito e dovevo augurarmi che durante il match il mio avversario potesse avere un calo fisico o mentale, vuoi per il ritmo, vuoi per la pressione o perché intimorito dall’idea disputare la difesa in terra straniera.

Arrivato quel giorno, suona il gong, comincia la battaglia: primo scambio, pugno contro pugno, sento una scossa elettrica che mi percorre il corpo, fa veramente male. Finisco il primo round e nel minuto di riposo ascolto i consigli del mio maestro Massimiliano “Momo” Duran: “Andreino, com’è? Forte? Si sente? Non ti preoccupare, teniamolo lì, rispondi con intelligenza, non scambiare, usa quel sinistro. Vedrai che prima o poi avrà un calo fisico e noi inizieremo il nostro match. Poi potrai scambiare più frequentemente, in modo da ribaltare l’esito dei cartellini e se riusciremo lo metteremo KO! Abbiamo preparato il match per questo, lo sappiamo, quindi bisogna avere pazienza e concentrazione!” E io in risposta: “Momo, posso dire che fa veramente male!”

Secondo, terzo, quarto round: non cambia niente, cerco di usare la tecnica, ma non riesco mai a esprimere il 100%; lui è sempre più sicuro e determinato e invece di calare aumenta il ritmo facendo sentire ancora di più i suoi colpi. Al termine del settimo round dico a Momo: “È impossibile, invece di calare ha aumentato la quantità di colpi e ti posso assicurare che in qualsiasi punto mette a segno un pugno fa un male cane, sento il dolore non solo sul corpo, ma fin dentro il cervello!”

All’inizio del nono round, lo ricordo come se fosse oggi, provo a scambiare un po’ di più, ma lui ribatte colpo su colpo, aumenta il ritmo e con un montante mi colpisce al fegato. Sento il colpo, non vado giù, ma sono consapevole che sto perdendo: alzo la mano e dichiaro la resa.

Tutti rimangono stupiti, iniziano le critiche e gli attacchi, ma io in silenzio mi rimetto sotto con gli allenamenti e vado avanti. Dopo quel mondiale ho proseguito la mia carriera fino al 2015, disputando ancora vari titoli: tre titoli europei e un titolo dell’Unione Europea. A 41 anni ho vinto il mio ultimo match e poi mi sono ritirato senza avere l’amaro in bocca e senza rimpianti!

Vi racconto tutto ciò per farvi capire che la boxe non è una rissa in cui chi ne ha di più vince sempre e arriva in alto. Fare il pugilato usando un pizzico di intelligenza e fantasia insieme alla forza fisica può portarti a vincere il 90% delle battaglie, oltre a permetterti di allungare la tua carriera agonistica fino al raggiungimento dell’obiettivo più ambito, quello di essere un campione!

1 commento su “L’abbandono di un pugile: il ritiro di Ramirez visto dagli occhi di Andrea Sarritzu”
  1. Bellooooooo 👏👏👏 questa volta mi è piaciuto più di ogni altra perché c’è il racconto personale che è davvero molto interessante.

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