Da “Jaron Ennis è il nuovo Roy Jones Jr e dominerà il pugilato fino alla categoria dei mediomassimi” a “Jaron Ennis è un bluff senza difesa e verrà messo KO dal primo degno rivale”. Se c’è una cosa che ho imparato sul variegato mondo degli appassionati di pugilato è che i loro giudizi volano in alto e in basso come i vagoni delle montagne russe: nel giro di una notte, come per magia, i fuoriclasse si trasformano in mestieranti e gli incapaci diventano fenomeni epocali, almeno fino al prossimo punto di svolta. Nulla di nuovo dunque, ma mi permetto ugualmente di darvi un consiglio: non sottovalutate Jaron Ennis.
Il pugile americano, capace di mettere in piedi fino a oggi un impressionante record professionistico di 33 vittorie consecutive, 29 delle quali conseguite per KO, ha visto le sue quotazioni abbassarsi (quantomeno dal punto di vista di un cospicuo numero di osservatori) in seguito alla sua ultima difesa del titolo mondiale IBF dei pesi welter contro Karen Chukhadzhian.
Da Ennis, che aveva già sconfitto l’ucraino in maniera dominante poco meno di due anni fa, quando non gli concesse neppure un singolo round sui tre cartellini dei giudici, ci si aspettava un altro trionfo perentorio, magari condito stavolta da uno dei suoi sensazionali KO. Invece il campione ha faticato ben più del previsto, ha dovuto incassare un numero significativo di colpi pesanti e ha chiuso il match in leggero affanno.
Molti sottovalutano l’importanza dello status psicologico con cui un pugile affronta un combattimento; eppure la storia della boxe ci ha insegnato che si tratta di un fattore spesso condizionante e talvolta decisivo. Io stesso sono caduto in questo errore più di una volta, come quando, dopo aver visto uno svogliato Sergiy Dervyanchenko faticare a imporsi sul superwelter naturale Jack Culcay mi convinsi che sarebbe stato carne da macello per Gennady Golovkin, previsione rivelatasi assai distante dal vero. Di esempi analoghi se ne potrebbero fare tanti.
Poche ore prima di Ennis vs Chukhadzhian ho pubblicato su X questo post semiserio:
Il paradosso di Jaron Ennis. L’unico modo per fare meglio rispetto al primo combattimento è vincere per KO. Ma secondo l’opinione dello stesso Ennis, il suo principale errore nel primo combattimento è stato quello di cercare troppo ossessivamente il KO. Vediamo cosa ne verrà fuori.
Per quanto in parte ironico, il mio post sottolineava il rebus mentale a cui Boots stava andando incontro. Costretto dalla criticatissima decisione dell’IBF ad affrontare lo stesso avversario già surclassato in passato, l’americano aveva tutto da perdere e ben poco da guadagnare e con ogni probabilità ha fatto il suo ingresso nell’arena profondamente convinto che il suo sfidante non avesse alcun mezzo per impensierirlo.
Chukhadzhian ha scatenato l’effetto sorpresa fin dal round di apertura, accettando la battaglia a centro ring e piazzando quel violento gancio alla tempia che ha spostato Ennis di un paio di metri. Il campione tuttavia non si è lasciato disorientare dall’inatteso approccio garibaldino del rivale. Al contrario, per almeno sette round, ha messo in mostra un pugilato di altissimo livello.
Certo, come capita di frequente a chi adotta uno stile molto propositivo al cospetto di un valido avversario, Boots ha subito dei colpi. Ma la sua velocità di esecuzione, il suo jab in apertura d’azione, i suoi cambi di guardia, la sua sconfinata varietà di soluzioni offensive hanno comunque dominato la scena, tanto che delle prime sette riprese personalmente ho assegnato soltanto la quarta a Chukhadzhian.
Poi, qualcosa si è incrinato. Nel guardare il combattimento e nell’osservare il body language dei due pugili mi è sembrato di entrare nella testa di Ennis e di captare i seguenti pensieri: “Perché questo qui non va giù? Perché continua ad avanzare? Perché i miei colpi migliori non bastano a spazzarlo via?”
Abituato a produrre un effetto devastante su tutti i suoi oppositori con la forza brutale dei suoi fendenti, Boots è parso incredulo e indispettito nel constatare che stavolta non riusciva a trovare la soluzione vincente. E così da un certo punto in poi ha perso la pazienza e ha iniziato a lanciarsi in avanti rabbiosamente, quasi come un ariete che tenta di abbattere un muro con la testa. Un approccio utile soltanto a farsi sorprendere ripetutamente d’incontro e a consumare fiumi di energie nei clinch a cui Chukhadzhian astutamente lo costringeva.
C’è poi un ulteriore elemento che chi critica in maniera troppo veemente le lacune difensive di Ennis dovrebbe tenere in considerazione: i colpi dello sfidante non gli facevano male. Persino dopo il già citato terribile gancio del primo round, reso ancor più pericoloso dal fatto di essere stato assorbito a freddo, l’americano ha conservato la piena lucidità tornando immediatamente all’attacco. E quando un grande incassatore percepisce di non poter essere scalfito, non è inusuale che diventi imprudente.
Abbiamo visto Golovkin parare svariati colpi con la faccia contro Martin Murray, Kell Brook e altri avversari minori salvo poi sfruttare al meglio footwork e jab di sbarramento per disinnescare la maggior parte dei colpi potenti di uno dei migliori incontristi del pugilato moderno nel suo primo match contro Canelo. Abbiamo visto Artur Beterbiev dar vita a due autentiche slugfest contro Callum Johnson e Radivoje Kalajdzic prima di sfoderare tutte le sue risorse tecniche per imporsi sul quotatissimo Oleksandr Gvozdyk.
Non mi si fraintenda: la difesa non è e probabilmente non sarà mai uno dei migliori asset di Jaron Ennis, ma se credete che nei superwelter, opposto a un top fighter, verrà colpito con la stessa frequenza con cui è stato colpito sabato scorso, a mio avviso siete decisamente fuori strada.
Boots ha reso meno rispetto a quelle che sono le sue potenzialità. Ma lo ha fatto affrontando nelle peggiori condizioni psicologiche possibili un avversario molto più forte rispetto alla fama che lo accompagna, dotato di coraggio, solidità, gioco di gambe e Q.I. pugilistico di primo piano. Se trarrà i dovuti insegnamenti da quanto è accaduto, Jaron Ennis tornerà ancora più forte e quel punto molti di quelli che già gli cantano il de profundis dovranno ricredersi.
Ottima disamina. Effettivamente lo zoccolo duri degli appassionati di boxe ( a patto di includere gli appassionati casuali) è non avere mezze misure: o sei un campione o sei un brocco; inoltre la vittoria per KO continua a rimanere la prima opzione per essere ben valutati, magari a scapito di una prestazione confusionaria, arruffona e poco professionistica