Una storia lunga più di 50 anni, riunioni di boxe organizzate in ogni parte d’Italia, relazioni sviluppate con i soggetti internazionali più prestigiosi e importanti al mondo: la Opi Since ’82 è stata e continua a essere questo e molto altro. Il suo fondatore, Salvatore Cherchi, dopo decenni trascorsi nel ruolo di promoter, ha lasciato le redini della sua amata creatura ai suoi figli e riveste oggi il ruolo di consigliere federale. Abbiamo posto a Cherchi alcune domande sul suo lungo percorso nell’affascinante universo della Nobile Arte.
Partiamo dalle origini. Com’è nata la sua passione per il pugilato e come ha preso il via la sua lunga avventura come promoter?
La mia passione per il pugilato è nata quand’ero bambino. C’era una persona che viveva di fianco a noi, un grande appassionato, che acquistava regolarmente Boxe Ring. Così ho iniziato a leggere la rivista e mi sono innamorato pian piano di questo sport. Poi a 13 anni ho preso la mia prima tessera da pugile: era il novembre del ’65. Da lì in poi la passione è cresciuta sempre di più. Nel 1974 ho conosciuto Mattioli che arrivava in Italia ed è nata un’amicizia. Poi con Branchini ho iniziato pian piano ad avvicinarmi al pugilato dei professionisti.
In veste di promoter?
No, in un primo momento ho iniziato semplicemente a collaborare col settore professionistico. Poi, ho avuto a che fare anche con i pugili dilettanti, alla Spartacus di Milano. È stata un’esperienza molto positiva e mi sono divertito tantissimo. È stato un periodo della mia vita piuttosto bello e ne ho tratto insegnamenti utili, soprattutto sul piano umano, per quello che sarebbe venuto dopo. Poi il mio ruolo di promoter a tutti gli effetti è iniziato quando io, insieme a Giovanni Branchini, ho creato la Opi. Quello è stato l’inizio vero e proprio dell’avventura.
Lei in tutti questi anni ha organizzato un enorme numero di riunioni in cui si sono esibiti pugili di altissimo livello. C’è una riunione in particolare di cui si sente particolarmente fiero, una che spicca su tutte le altre?
Quella che spicca in maniera importante è sicuramente la prima, datata febbraio 1982, quando organizzai totalmente da solo il mondiale tra Loris Stecca e Leonardo Cruz. Quella è la riunione che ricordo in maniera particolarmente intensa essendo legata a emozioni indimenticabili. Per così dire, la prima riunione non si scorda mai. Nei giorni che l’hanno preceduta dormivo tre o quattro ore a notte. Potevo permettermelo perché ero giovane, non avevo ancora compiuto 31 anni. Era quindi un periodo in cui ero in buona salute e mi sentivo forte mentalmente e fisicamente.
Chi è stato invece il pugile più forte che lei abbia mai promosso?
Senza voler offendere gli altri, direi Giovanni Parisi. Poi ci sono stati tanti altri pugili fortissimi, come ad esempio Sandrino Casamonica, che pur non essendo diventato campione del mondo, secondo me era un vero campione.
In anni recenti la OPI Since ’82 si è distinta per l’accordo raggiunto con Eddie Hearn che permise la realizzazione in Italia di eventi in collaborazione con la Matchroom Boxing, trasmessi in diretta su DAZN. Cosa si porta dietro da quell’esperienza? C’è qualcosa col senno di poi che avrebbe gestito in modo diverso, oppure ritiene che il bilancio sia esclusivamente positivo?
Il bilancio è esclusivamente positivo, perché da quelle ceneri il pugilato italiano è rinato. Quegli eventi sono riusciti a riportare i ragazzi in palestra, a far aumentare l’attività professionistica, a dare una scossa all’ambiente. È stata un’esperienza più che positiva, perché riuscire ad attirare tra le tremila e le quattromila persone a un evento di pugilato è un risultato che non si vedeva in Italia da molti anni.
Ultimamente stanno sorgendo diversi nuovi promoter che cercano di affermarsi sul mercato nazionale, come la TAF, molto attiva in Lombardia, e l’IRP, che si sta facendo strada soprattutto in Veneto. Come vive questa ventata di nuova concorrenza?
Penso che sia molto positiva, perché più concorrenti ci sono, più importante diventa il mercato e questo è un incentivo per tutti a fare meglio. La concorrenza è uno stimolo, aiuta il pugilato a crescere sempre di più, e con la crescita del pugilato crescono tutti gli attori coinvolti. Se non c’è concorrenza è drammatico: non riesci a far crescere più di tanto il tuo prodotto. Se sei solo, come fai a spingerti oltre? Quindi ben venga la concorrenza: è uno stimolo per migliorare.
Visto che si avvicinano le elezioni federali, cosa si aspetta dal prossimo quadriennio olimpico?
Mi aspetto una situazione che permetta al pugilato di crescere. Dobbiamo cercare di acquisire più professionalità e non affidarci sempre agli amici degli amici. Noi siamo un’azienda che fino a ieri fatturava 9 milioni di euro, con 30 dipendenti, oltre a tutto l’indotto composto dai pugili, dai maestri, e così via. Bisognerebbe avere più professionalità e valorizzare chi ha le giuste competenze. Quando arrivano dei fondi, questi arrivano perché dobbiamo far crescere i pugili: se non siamo capaci di far crescere i pugili, abbiamo fallito, non siamo un’azienda che produce. E questo, purtroppo, è quello che è successo anche negli ultimi anni. Certo, io stesso ero parte integrante del consiglio federale, ma insieme ad altri che hanno visioni diverse dalla mia.
In questo momento far parte del consiglio federale è una mia scommessa, fatta per l’amore che ho per questo sport. Interessi veri all’interno della Federazione non ne ho, perché i miei figli fanno un altro mestiere. Perciò quello che voglio fare e che sto facendo in questo momento è orientato al bene comune, ed è proprio il bene comune che desidero per il prossimo quadriennio. Ognuno deve essere consapevole che fa un lavoro utile agli altri, senza anteporre il proprio interesse individuale, come è successo troppe volte negli ultimi anni. Mi auguro che non succeda più.
Recentemente hanno destato scalpore le parole di Andrea Sarritzu, che in un’intervista rilasciata al nostro sito ha espresso amarezza per come è stato trattato dalla sua organizzazione al termine della sua lunga carriera. Intende replicare qualcosa a ciò che ha dichiarato l’ex pugile sardo?
Sì, vorrei dire che mi dispiace, perché io Sarritzu l’ho trattato sempre come un figlio. Se guardiamo con attenzione il suo record ci accorgiamo che ha avuto più opportunità lui che dieci altri pugili messi insieme. Lui perse con Laganà a inizio della carriera e un altro al mio posto avrebbe pensato: “Va bene, non vale tanto” e lo avrebbe abbandonato. Io invece gli ho sempre dato le migliori opportunità. L’ho portato al titolo internazionale vacante dei pesi mosca e poi gli ho fatto subito disputare due volte il mondiale. Ha perso il primo match con Narvaez per Split Decision, ma secondo me aveva stravinto. Nel secondo gli hanno dato il pari, ma secondo me aveva perso. Ha pareggiato con Rodrigues e ha fatto il rematch; ha perso ai punti con Pozo e ha fatto il rematch al Vigorelli vincendo in modo fantastico; ha pareggiato con Inom e l’ho fatto combattere a Milano con Zemmouri in una una riunione con tre titoli in cui a livello economico ci ho rimesso. Dopo ogni passo falso ha avuto altre opportunità, non è stato mai abbandonato.
Oltretutto io con Sarritzu non ho mai guadagnato un euro. Tutta l’attività che ho fatto in Sardegna, e questo è dimostrabile, mi ha fatto perdere una barca di soldi, ma nonostante questo l’ho sempre aiutato. I debiti di cui parla sono riferiti a un unico evento il cui organizzatore non ero io, bensì Antonio Puddu!
Alla fine della sua carriera mi ha chiamato chiedendomi di aiutarlo, perché a Cagliari aveva grossi problemi di vario genere. L’ho fatto venire a Milano e gli ho procurato un appartamento. Mio figlio Alessandro gli ha offerto anche un posto di lavoro in palestra in modo da fargli guadagnare dei soldi. Se andiamo ad analizzare quello che ho fatto per lui, è ben oltre il dovuto, da tutti i punti di vista, quindi mi dispiace che lui dica delle parole così antipatiche nei miei confronti.
E poi quando dice che tutto si reggeva sulle spalle di Sarritzu, dimentica che in quell’epoca io avevo i fratelli Branco, avevo Piccirillo… E lui, non per colpa sua, in termini economici produceva zero, perciò chi era sulle spalle di chi? È la prima volta che io replico alle parole di un pugile, giuro che mi dà anche fastidio replicare. Però nella vita quando arrivi al limite, poi finisci col dire quello che pensi.