La categoria dei superleggeri ha regalato all’Italia della boxe enormi soddisfazioni. In tale classe di peso si sono infatti cimentati alcuni dei nostri pugili più talentuosi, dall’immortale Duilio Loi, all’imbattibile Bruno Arcari, all’esplosivo Giovanni Parisi, all’intoccabile Patrizio Oliva. A rinfoltire questa schiera di fenomeni delle sedici corde c’è il nome del grande Sandro Lopopolo, nato a Milano da genitori pugliesi, capace di silenziare le voci critiche di quanti non amavano il suo pugilato guardingo ed essenziale cingendosi la vita con le cinture mondiali più preziose. “Ballerino” per gli ammiratori, “ragioniere” per i detrattori, Sandro fu sopra ogni altra cosa un campione e la nostra rubrica “La grande boxe italiana” non poteva esimersi dal raccontarvi la sua storia sportiva!
Ispirato da Mitri e Loi: dagli inizi all’argento olimpico
Lopopolo, cresciuto nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, come tutti i giovani che si avvicinano al mondo della boxe aveva i suoi modelli di riferimento. Nel suo caso erano due grandi connazionali che lo avevano preceduto: il tenace Tiberio Mitri e il leggendario Duilio Loi. Sandro raccontò in seguito che spesso, durante gli allenamenti al centro sportivo Vigorelli, scoperto facendo una consegna quando lavorava come fattorino, si sforzava di imitare lo stile dei suoi idoli. Quando il suo maestro gli chiedeva a cosa stesse pensando con quella guardia sbarazzina, rispondeva senza scomporsi: “A Mitri e a Loi”. La sua abnegazione nell’imitare i più grandi si rivelò fruttifera, tanto che a soli 20 anni l’atleta lombardo ottenne il pass per partecipare alle Olimpiadi di Roma nel corso delle quali fece faville, conquistando la preziosa medaglia d’argento. Cinque vittorie consecutive lo condussero infatti alla finalissima per il gradino più alto del podio e soltanto l’esperto polacco Kazimierz Paździor, che lo sopravanzava in età di cinque anni, riuscì faticosamente a domarlo.
Ballerino o ragioniere? Dall’esordio nei pro al tricolore
Le performance esibite nel corso della rassegna olimpica spinsero i giornalisti più audaci a dipingere Lopopolo come l’erede di Loi. Forse queste aspettative penalizzarono il ragazzo emergente, tanto più che il suo stile risultò indigesto a una parte dell’esigente pubblico delle riunioni professionistiche. Sandro era un mancino impostato in guardia normale e in quanto tale poteva contare su un jab molto efficace. Era inoltre estremamente leggiadro sulle gambe ed elegante negli spostamenti, tanto da meritarsi l’appellativo di “ballerino del ring”. Nonostante queste qualità, a cui vanno aggiunti riflessi e scelta di tempo da campione, Lopopolo veniva accusato di fare troppo spesso il minimo indispensabile: usava il destro con parsimonia, si prendeva pause consistenti, raramente accettava la bagarre, ed ecco che per alcuni divenne il “ragioniere del ring”. Se i punti di forza del suo pugilato gli permisero di laurearsi campione italiano dopo 30 match privi di sconfitte, la sua indolenza gli costò la prima debacle, probabilmente immeritata, contro lo sfidante toscano Piero Brandi.
Se l’Europa è preclusa, prendiamoci il mondo!
Può sembrare paradossale che un campione del mondo non sia mai riuscito a conquistare il titolo europeo; eppure, quasi fosse afflitto da una maledizione, Lopopolo fallì tutti e quattro i tentativi di far sua la cintura del vecchio continente. La prima chance gli fu offerta in Spagna nel 1965 e quando il locale Juan Albornoz lo superò ai punti, Sandro decise di puntare direttamente al piatto forte. L’anno successivo infatti accolse il picchiatore venezuelano Carlos Hernandez al Palazzetto dello Sport di Roma per provare a strappargli le cinture WBA e WBC dei superleggeri. Hernandez aveva fama di tremendo distruttore avendo già sconfitto diversi grandi nomi: il nostro portacolori appariva agli occhi di molti una vittima sacrificale. Quella notte tuttavia Sandro firmò il suo capolavoro: per 15 riprese stette di fronte al rivale mandandolo a vuoto e rientrando sistematicamente coi suoi colpi, rischiando e picchiando come mai aveva fatto prima. Non mancarono momenti di paura, compreso un atterramento subito nell’ultimo round, ma alla fine fu l’italiano a essere portato in trionfo!
Il regno di Lopopolo
La permanenza sul trono di Lopopolo durò un anno esatto e come tutta la sua carriera presentò luci e ombre. Il campione infatti rimediò due sconfitte in Sudamerica in due match senza titolo in palio, prima con il venezuelano Vicente Rivas e poi con l’argentino Nicolino Locche. Quando però Rivas si presentò in Italia in veste di sfidante al mondiale, l’atteggiamento sul ring di Lopopolo mutò radicalmente e il suo avversario fu costretto al ritiro per infortunio dopo aver sofferto la boxe tambureggiante del campione. L’epilogo del regno di concretizzò quando Sandro, ingolosito dalla borsa di 25 milioni di vecchie lire, accettò di recarsi in Giappone per affrontare l’idolo locale Takeshi Fuji, piuttosto rozzo sul piano tecnico ma dotato di grande potenza. Indebolito nel fisico per aver contratto l’influenza asiatica, Lopopolo controllò agevolmente il primo round, ma nel secondo incappò in un devastante gancio destro che lo mise al tappeto. Un secondo KD e un’ulteriore raffica di colpi determinarono lo stop arbitrale: il regno del pugile italiano era giunto al termine.
Gli ultimi anni, tra soddisfazioni e amarezze
Dopo l’infausta trasferta giapponese Lopopolo continuò a calcare i ring per altri sei anni ma non ebbe ulteriori opportunità iridate, neppure dopo che Bruno Arcari fece suo il titolo WBC dei superleggeri spingendo gli appassionati italiani a fantasticare su uno strepitoso derby. C’è chi sostiene che la mancata concretizzazione dell’evento fu dovuta ai presunti dissapori tra i due pugili, ma quel che è certo è che pur mancando altre tre volte l’appuntamento con la cintura EBU, Lopopolo non rinunciò neppure negli anni conclusivi del suo lungo percorso a togliersi soddisfazioni di prestigio. Si pensi ad esempio a quando nell’ostile Parigi diede un’autentica lezione di pugilato al lanciatissimo picchiatore francese Roger Menetrey, dominandolo ai punti. Ironia della sorte, fu proprio Menetrey un anno e mezzo più tardi a infliggere a Sandro la sua ultima sconfitta, spingendolo di lì a poco al ritiro. Padre di tre figli, Lopopolo è rimasto vicino allo sport che lo ha reso grande anche dopo aver appeso i guantoni al chiodo, tanto da fondare il sindacato dei pugili al fine di tutelare gli atleti professionisti della nostra affascinante quanto insidiosa disciplina. Insignito del riconoscimento di “Cavaliere dello sport”, Lopopolo si è spento il 26 aprile del 2014 ma la sua classe cristallina resterà per sempre uno degli esempi di spicco della grande boxe italiana!