Torniamo oggi con la seconda puntata della nostra rubrica “La parola al maestro”. Dopo aver ascoltato la voce del Maestro Meo Gordini, passiamo la parola ad un altro grande del nostro panorama, Gino Freo. Ha da poco festeggiato i quarant’anni della sua storica Boxe Piovese di Piove di Sacco, in provincia di Padova, fucina di campioni: dall’ex campione del mondo Cristian Sanavia, agli ex campioni europei Devis Boschiero e Luca Rigoldi. Ma non solo. Facciamo dunque insieme un viaggio nel suo mondo, quello di un uomo tanto appassionato di questa disciplina e forte esempio per il suoi allievi e per tutto il pugilato italiano.
Da dove parte e come la storia di Gino nel pugilato?
Parte dal 1968, quando mio fratello più grande Benito, mi porta in palestra. Lui aveva fatto un po’ di boxe a Padova e mi porta perché sono un ragazzo molto timido, introverso, taciturno. Mi porta in via San Giovanni da Vardara, in una chiesa sconsacrata, dove c’era la famosa Padova Ring, la GBC, una società strutturata bene per i dilettanti, e lì inizia la mia avventura da pugile, inizio ad amare questo sport che prima neanche conoscevo! Ed eccoci qua.
Una breve carrellata della mia carriera che non è stata “niente da segnalare”: faccio i novizi nel 1969, vinco i novizi regionali, tre incontri a Mestre, e dopo vado a Cecina a fare i campionati italiani, e arrivo in semifinale perdendo di strettissima misura. L’anno dopo nel 1970 sono già un dilettante e mi portano subito a fare i campionati regionali prima serie; qui nel Veneto nei medi c’erano pugili forti, c’era un certo Marzio che era anche campione italiano, quindi pur essendo molto combattivo, ne prendo tante. Nel 1972, anche se non sono mai diventato campione italiano, sono stato tre volte in ritiro con la nazionale a Fiuggi con Natalino Rea e Armando Poggi, due grandi maestri. Vesto la maglia azzurra una sola volta nel 1973 qui a Treviso, per Italia-Francia e vinco con un certo Martein ai punti.
Nel ’74 decido di passare al professionismo, spinto da Luciano Sarti. Da dilettante facevo i 75 kg, ma da professionista dato che il limite dei medi era 72,5 kg ho fatto il mediomassimo regalando un po’ di chili. Comunque vinco un torneo e arrivo a disputare due volte il campionato italiano dei pesi mediomassimi, una volta nel ’78 con Ennio Cometti a Piove di Sacco dove mi sono organizzato tutto io (e lì ho capito di cosa ha bisogno un pugile, oltre che del maestro e di tanto allenamento, cioè essere sostenuto nella parte organizzativa!). Abbiamo combattuto in un capannone perché non c’era il palazzetto del sport e tutto il paese ha partecipato, ma ho perso. E dopo un’altra volta nel 1981 a Padova con Cristiano Cavina. Lì, alla decima ripresa (il titolo italiano si faceva sulle dodici riprese) mentre ero in vantaggio, con due richiami ufficiali a favore, arriva un pugno che addirittura mi scaraventa fuori dalle corde e insomma perdo anche quella volta. Finisco nell’84. L’ultimo match è un’altra semifinale, lo disputo contro il mio amico abruzzese Luciano Di Giacomo. Mi ero anche preparato bene ma perdo ai punti, perdo e lì ho detto basta. Lavoravo, quindi facevo il pugile professionista a tempo perso: è sempre stato un hobby per me.

Com’è nata e quando la voglia insegnare?
Dopo aver smesso di combattere avevo in mente di aprire una scuola, una palestra qui a Piove di Sacco… La voglia di insegnare è nata così, con la volontà di aprire una scuola di pugilato nella Saccisica, dove non c’era mai stata. Mi sono subito innamorato dell’insegnamento, volevo trasmettere le mie esperienze, quelle vecchie ma anche quelle nuove, quelle che imparavo, quello che vedevo in giro, ho fatto tanti stage. Quando ho fatto il corso da aspirante tecnico a Padova, c’erano il maestro Toni Caneo e Armando Poggi e ricordo che dicevano: “questo ragazzo ha sicuramente in mente di fare qualcosa di buono”, forse perché evidentemente trasparivano già la passione e la voglia che avevo dentro in me.
Qual è l’aspetto del tuo lavoro di allenatore che ti piace di più e quello che ti piace meno?
Più che un lavoro, per me questo è sempre stato un hobby. Ora sono pensionato, ma ho lavorato per quarant’anni in Telecom e la palestra è sempre venuta dopo il lavoro. La cosa che mi piace di più è quella di trasmettere, di far innamorare i ragazzi della boxe, di divulgare questo sport. Di fargli capire che è uno sport di sacrificio, di contatto, ma è anche uno sport che può essere meno pericoloso di altri se fatto bene, se fatto con impegno, dedizione e con grande rispetto dell’avversario. Quindi è necessario curare bene l’aspetto tecnico, la difesa oltre che l’attacco. Mi piace appunto far innamorare questi ragazzi che vengono e che poi, in tanti, ti danno tutto se stessi. Quello che mi piace meno è quando un ragazzo smette dalla sera alla mattina, e succede spesso, senza avere da parte mia la possibilità di capire o di provare a fare qualcosa di più. Da noi viene qualsiasi individuo di qualunque estrazione sociale e non avere avuto la possibilità di aiutarlo perché con una cosa o l’altra si poteva recuperare e farlo continuare è un aspetto che non mi piace.
C’è un pugile che ti è rimasto particolarmente nel cuore e perché? Qualcuno invece ti ha mai deluso?
Direi che restano tutti nel cuore. Farei fatica a dirti uno più di un altro. Ovvio che mi viene naturale nominare Cristian Sanavia, per la sua strada e per dove è arrivato (anche se non posso nascondere la delusione di quando è andato via per un periodo). È entrato in palestra a dieci anni ed è andato via a ventisette, con me ha vinto i campionati italiani dilettanti, il titolo italiano Pro, l’europeo, abbiamo portato sei/settemila persone in piazza una volta nel 2001. Poi come possono non restarti nel cuore Devis Boschiero, Alessandro Giraldo o anche ragazzi che ti hanno dato il cuore ma che non avevano la possibilità di arrivare.
Beh rimango deluso direi, anche se sono ferite che poi so curare, quando questi ragazzi dopo anni e anni ti abbandonano, decidono per motivi x di andare via; da me sono venuti in tanti da tanti altri posti, Paolo Vidoz non è nato da me, viene da Gorizia e sceglie di venire da me, Luca Rigoldi sceglie di venire ad allenarsi a Piove di Sacco e con me raggiunge i più grandi traguardi, Antonio Brancalion, per non parlare dei grandi ragazzi di Trissino Andrea Fracca, Nicola Fasolo, e poi Marchi, Bevilacqua, Festosi. Sono tutti venuti da me con il nulla osta del loro allenatore perché io ho sempre chiamato la loro società di appartenenza prima di allenarli. Io ho avuto magari qualche ragazzo che è andato via, vedi Cristian e Devis, ma che poi sono tornati e hanno vinto. Ecco a me nessuno mi ha chiamato, questa direi una delusione dell’ambiente.

È cambiato qualcosa nel modo di allenare i pugili oggi, rispetto al passato?
Ovvio che è cambiato qualcosa nel modo di allenare, io stesso non faccio quello che facevo cinque, dieci, venti anni fa. La filosofia è quella lì e quella resta, ma ovvio in tutti i campi lo sport si è evoluto, anche nel nostro. Più di quaranta campioni italiani, campioni europei, ma l’allenamento che facevo prima non lo faccio ora. I punti cardine restano quelli, ma è cambiato sicuramente. Io mi sono sempre adeguato, mi sono informato, ho sempre letto, visto, guardato… ecco credo che una qualità decisiva che debba avere un maestro è quella di riuscire a far il vestito su misura al suo pugile, perché non puoi assolutamente allenare tutti pugili allo stesso modo in uno sport come il nostro. Ho sempre imparato cose anche da altri sport.
Diciamo che già io sono nato in un momento di cambiamento, dove avevamo un grande maestro a livello nazionale che era Franco Falcinelli e lui ha scritto dei libri e ha introdotto metodi di allenamento moderni che io non avevo mai fatto da pugile, non c’erano circuiti, ripetute e altro, che man mano si sono impossessati delle palestre. Attenzione che in tanti fanno anche l’opposto, trascurano gli allenamenti di una volta, che non sono proprio di “una volta” ma sono attualissimi, come quello di curar la tecnica ad esempio.
La cosa certa è che il maestro riveste un ruolo importantissimo, anche se qualcuno a volte lo mette in dubbio. È ovvio che ci vuole la farina per fare la polenta, la farina è del pugile. Dopo poi la polenta la si può fare in tante maniere. È molto importante impostarli bene. Tanti ragazzi vengono da noi in palestra dopo aver provato a fare la boxe in qualche altro posto, perché adesso la fanno in tutti i posti, è un po’ di moda, e quindi bisogna lavorarci il doppio. Chi vuole diventare pugile deve per forza andare in una palestra dove si fa pugilato agonistico. Il problema importante è lavorare sulla testa, sulla motivazione, capire il ragazzo.
Ogni ragazzo ha bisogno del suo vestito, quindi l’insegnante, il tecnico, il maestro, deve essere bravo a individuare quello che va bene per quel tipo di ragazzo. Io ho avuto questa esperienza e non ho insegnato a nessuno la stessa cosa, perché uno è fatto in una maniera, uno in un’altra. Quindi questo ti comporta un lavoro ancora un più certosino in palestra. Ripetere le cose anche solite, anche noiose. Un ragazzo, anche uno bravo, deve capire che è importante la ripetizione del gesto, ripetere tante volte all’infinito se vuole che venga fuori, che vengano fuori le azioni durante la gara.

Alcuni decenni fa la boxe era uno degli sport più popolari del nostro Paese. Quali sono state le cause del suo declino secondo te? Cosa manca al pugilato oggi che ieri invece c’era?
Alcuni decenni fa ti viene da dire che c’era più povertà, anche se a dire il vero non so se c’era più povertà negli anni Sessanta o adesso. Certo che la fame è intesa anche come fame di riscatto sociale, per questo direi che questo potrebbe essere di gran moda anche adesso, perché ci sono tante difficoltà fra i giovani ecco. Ma sai cosa manca? Mancano le società, il 90% delle realtà pugilistiche italiane è in mano a un insegnante, al suo maestro, al suo tecnico, e sono realtà tutte sulle spalle dell’allenatore. Tanti non hanno la fortuna o la voglia che ho avuto io di avere un lavoro e quindi di tenere questo come hobby e come voglia di fare bene e di tirare fuori più campioni possibili. Se tu devi aprire la palestra e devi mantenere la tua famiglia con questa, è ovvio che stai più dietro agli amatori e hai bisogno che ne vengano tanti, ma se tu stai dietro agli amatori, difficilmente fai un pugile, perché il pugile ha bisogno di molto investimento.
Anche per i ragazzi vale lo stesso discorso: mi sono accorto che quando ho avuto la possibilità di rimborsare, di dare qualche premio a qualche ragazzo, l’ho recuperato. Non riuscire a dare qualcosa ai tuoi ragazzi quando fanno i match è una cosa che manca; tanti hanno paura di dirlo, ma questa è la verità.
Cosa manca al pugilato oggi, che invece ieri c’era? Nell’ambito professionistico, negli anni ’70 ’80 c’erano più imprenditori e in più qualche appassionato, che mettevano dei soldi per far crescere e portare avanti qualche campione e si aveva qualche campione in più. Questa è una cosa che io ho toccato con mano.

Qual è la cosa che hai fatto come maestro di cui ti senti più fiero?
Beh, direi una serie di cose. Ecco, spesso, non di raro, camminando per i portici di Piove di Sacco, la mia piccola e bella cittadina, mi sento chiamare “Maestro, maestro!”, o anche “Gino!”. E mi si presentano ragazzi di 30, 40 anni che magari non ricordavo più e mi dicono: “Devo solo ringraziarti perché non ho fatto tanto, sai che dopo sono stato a casa, ma quei due, tre, quattro, cinque, dieci match che ho fatto mi hanno fatto maturare molto, ho ancora in mente quei bei momenti e tutte quelle cose che mi hai insegnato e che mi ha insegnato il pugilato”. Ecco, sono fiero di queste cose.
Sono fiero anche di aver tentato con tutte le forze di portare alla ribalta, e ci eravamo quasi arrivati, un ragazzo sinto. L’ho portato a vincere i campionati italiani, under 15, under 17, under 19, i campionati europei under 19, aveva una carriera davanti incredibile, ci ho messo la faccia, ci ho messo tutto, ho tentato, non ci sono riuscito perché ha scelto altre cose che non hanno niente a che fare con lo sport. Quello che avrei voluto invece è che i pugili più di rilievo avessero avuto la possibilità di mettersi in luce, di essere qualcuno, visto che questo sport comporta tanti sacrifici e anche tante rinunce se vuoi arrivare.
Ti ringraziamo per la tua disponibilità e il tuo preziosissimo contributo. “Si educa molto con quello che si dice, ancor più con quel che si fa, molto più con quel che si è”.
