Non crediate alle favole: se il match sarà vero, Mike Tyson perderà per KO

DiMario Salomone

Nov 13, 2024 #Paul, #Tyson

Jake Paul vs Mike Tyson si avvicina. E se da un lato la stragrande maggioranza degli esperti guarda a questo evento con un misto di amarezza, ironia e sconcerto, dall’altro un enorme numero di persone comuni attendono con trepidazione che lo show abbia inizio. Tra questi, tanti fan sfegatati del leggendario Iron Mike, sinceramente persuasi che il loro idolo abbia ancora dentro di sé la forza per un ultimo squillo di tromba. Ho una brutta notizia per tutti loro: se il match sarà vero, Mike Tyson perderà per KO.

Poco meno di 17 anni fa, mentre il mondo aspettava con ansia il combattimento tra Floyd Mayweather Jr e Ricky Hatton, rimasi molto colpito da una frase dell’ex campione del mondo Roger Mayweather, all’epoca allenatore di suo nipote Floyd. A distanza di tanto tempo non ricordo più le parole esatte, ma il concetto era sostanzialmente questo:

“Alla gente piace credere nelle stro***te, ma questo non è un film. Nella realtà, Apollo Creed batte Rocky Balboa”

L’affermazione di Mayweather esprimeva in modo colorito ma assai efficace il naturale bisogno che noi esseri umani abbiamo di assistere a episodi, imprese e avvenimenti dai tratti fiabeschi che tocchino le nostre corde emotive e alimentino le nostre speranze per un futuro a lieto fine. Quando si parla di “Iron” Mike Tyson questo sentimento, di per sé genuino e comprensibilissimo, raggiunge vette semplicemente inarrivabili.

Per descrivere al meglio quello che a tutti gli effetti potrebbe essere definito il “culto di Mike Tyson” vale la pena rileggere le parole per certi versi profetiche che lo storico giornalista di HBO Larry Merchant pronunciò circa vent’anni fa, quando l’attività agonistica del pugile di Caskill appariva ormai al capolinea:

“Suppongo che fra dieci anni qualche promoter gli offrirà un incontro in TV che dovrebbe portarlo a un altro match per il titolo. Oppure uno di quei promoter di wrestling gli farà un’offerta che non potrà rifiutare. E alla fine se ne andrà facendo fuoco a volontà in qualche incidente. Qualunque cosa accada, è improbabile che finisca in miseria. Vedete, la maggior parte dei fan di Tyson sono fan di Tyson e non del pugilato. Presumibilmente, lo seguiranno fino alla fine.”

Il mitico Larry ha sbagliato le date di un decennio, ma ha previsto con ammirevole accuratezza quanto sarebbe successo e come il pubblico avrebbe reagito, cogliendo in pieno gli aspetti fortemente personalistici che caratterizzano il tifo di una parte di quelli che sono cresciuti nel mito di Iron Mike, trasformandosi in una sorta di setta religiosa.

A riguardo conservo nella memoria un aneddoto personale risalente a molti anni fa che reputo straordinariamente emblematico. Al tempo iniziavo ad appassionarmi al pugilato, guardavo i primi video degli incontri che hanno fatto la storia della boxe e cercavo online spazi di discussione per confrontarmi con altri appassionati e per accrescere le mie embrionali conoscenze.

Scavando tra le vecchie discussioni di un forum mi imbattei così in un thread aperto da un utente poco dopo la rovinosa sconfitta di Tyson contro Kevin McBride e contenente un’affascinante teoria. L’utente in questione sosteneva che Iron Mike avesse perso volontariamente i match contro Williams e McBride al fine di dare l’impressione di essere finito, ottenere la chance di battersi con uno dei fratelli Klitschko (che altrimenti lo avrebbero evitato) e metterlo brutalmente KO. Ecco, credo che l’autore di quell’antico thread incarni perfettamente il tipo di “tifoso” tirato in ballo da Larry Merchant, lo stesso tipo di tifoso che oggi si aspetta di vedere Jake Paul travolto dai colpi di Tyson.

In tutta franchezza mi sento un po’ in imbarazzo nello spiegare i motivi per cui ciò non succederà. Dover articolare un ragionamento sul perché un ex pugile 58enne, inattivo da quasi vent’anni, protagonista di una vita per larghi tratti sregolata, non abbia le carte in regola per cimentarsi in uno sport professionistico di contatto è un po’ come tentare di dimostrare che Babbo Natale non esiste.

Fortunatamente mi viene in aiuto quanto accaduto poco più di tre anni fa all’allora 58enne Evander Holyfield, quando quest’ultimo ebbe la malsana idea di accettare un combattimento contro l’ex lottatore di MMA Vitor Belfort, venendo annichilito in meno di un round: un aneddoto che vale più di mille parole. È utile sottolineare che Holyfield, oltre ad aver battuto nettamente Tyson sul ring nel 1996, a differenza di Iron Mike ha continuato a boxare da professionista fino ai 48 anni di età.

Belfort del resto è perfettamente assimilabile ai diversi lottatori che Jake Paul ha sonoramente sconfitto tra le sedici corde nell’arco della sua carriera di pugile professionista. Ebbene sì, ho scritto proprio “pugile professionista”, perché per quanto alcuni amino dipingere l’americano come un saltimbanco che sale sul ring per gioco senza aver cognizione di ciò che fa, la verità è che da almeno cinque anni Paul si dedica anima e corpo agli allenamenti, venendo seguito quotidianamente da uno staff di altissimo livello.

Si tratta naturalmente di un pugile assai mediocre rispetto ai vertici mondiali, al punto che è bastato il modesto Tommy Fury a mandarlo fuori giri con un po’ di jab e un po’ di mobilità, pur subendo l’onta di essere atterrato. Ma l’impostazione scarna ed essenziale che gli allenatori di Jake Paul hanno intelligentemente suggerito all’ex youtuber, basata sul guardingo contenimento delle azioni altrui intervallato da improvvise accelerazioni, sarebbe più che sufficiente a sconfiggere un uomo di quasi 60 anni, per quanto fenomenale egli sia stato in gioventù.

Perché dunque usare il condizionale? Perché iniziare il titolo di questo pezzo con la parola “se”? Perché quanto stiamo per vedere è talmente assimilabile a uno spettacolo da circo e talmente lontano dai valori sportivi, che è impossibile non nutrire il sospetto che esista un copione già scritto su come le cose devono andare.

Se così è, i due protagonisti dovranno essere bravi a recitare la loro parte in modo convincente, perché l’incontro, essendo stato approvato dalla Commissione Atletica del Texas, è a tutti gli effetti un match professionistico ufficiale e una sua eventuale manipolazione dietro le quinte sarebbe un reato perseguibile a norma di legge.

Chiunque sia davvero affezionato ad Iron Mike tuttavia, dovrebbe augurarsi di cuore che tale reato venga commesso e che in virtù di un gentlemen’s agreement concordato sottobanco, Jake Paul si accontenti di vincere senza infliggere all’ex campione del mondo dei pesi massimi una punizione eccessiva.

Tyson in questi mesi ha sempre rigettato con sdegno le preoccupazioni espresse da molti sui rischi di questa avventura, arrivando ad affermare che lui preferisce “morire sul ring piuttosto che su un letto di ospedale”. Una frase a effetto, senz’altro funzionale a generare titoloni sui giornali, ma in verità assai infelice, poiché espressa in questi termini sembra suggerire che i traumi di un combattimento dall’esito tragico possano causare soltanto la morte sul colpo.

Chi segue assiduamente il pugilato sa che non è così e che tanti sono stati i casi di pugili che hanno dovuto fare i conti per anni con le conseguenze indesiderate di un ultimo match finito male. Del resto almeno un esempio Mike Tyson lo conosce bene senz’altro: quello del suo ex sparring partner Greg Page, protagonista di spicco dei pesi massimi degli anni ’80. Page, che avendo prolungato la sua carriera fino ai 43 anni di età subì un drammatico KO dal modesto Dale Crowe nel 2001, passò il resto dei suoi giorni semiparalizzato a causa dei conseguenti danni cerebrali.

Greg Page non è morto sul ring. È morto in casa sua nel 2009, quando dopo essere caduto dal letto ospedaliero su cui riposava il suo corpo è rimasto incastrato in una posizione che gli impediva di respirare. Tutti noi ci auguriamo che Mike Tyson si spenga di vecchiaia tra non meno di quarant’anni e che l’evento di questo venerdì si riveli un divertente spettacolo che lasci tutti contenti ed entusiasti. Ma chi scrive di questo sport ha il dovere di ricordarvi di tanto in tanto che il pugilato non è un gioco.

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