Il 21 giugno del 2003 andò in scena uno dei match più discussi della storia recente del pugilato: Lennox Lewis e Vitali Klitschko si affrontarono in una guerra tra titani il cui esito controverso, un KO tecnico decretato per ferita, provoca ancora oggi accesi ed inesauribili dibattiti. Andiamo dunque a rivivere lo svolgimento di quello storico match analizzando le tesi contrapposte dei tifosi dell’uno e dell’altro campione.
Una sfida epocale che nasce all’improvviso
Che Lennox Lewis dovesse presto o tardi dare la chance mondiale all’emergente Vitali Klitschko appariva a tutti piuttosto inevitabile. Il percorso di avvicinamento al grande match del resto si stava delineando secondo i canoni abituali: Vitali avrebbe combattuto nel sottoclou del campione, un classico escamotage mediatico per anticipare uno scontro al vertice particolarmente atteso dal pubblico. La riunione in questione subì tuttavia un drastico cambiamento di programma quando lo sfidante designato, il canadese Kirk Johnson, si tirò indietro per infortunio a sole tre settimane dal match. L’idea venne in un lampo: dato che Klitschko era già in preparazione per affrontare l’imbattuto Cedric Boswell, perché non proporgli di salire sul ring con Lewis? Sfida accettata e mondo del pugilato in fermento: da una parte il vecchio campione consacrato, pronto a sparare le ultime cartucce; dall’altra il giovane gigante in rampa di lancio, sconfitto una volta sola per infortunio e affamato di gloria.
Guerra tra titani
I due pugili diedero avvio al match con enorme carica agonistica: entrambi alla ricerca del colpo pesante che potesse intimorire immediatamente il rivale, si fiondarono a centro ring e nell’impeto di accorciare la distanza finirono col collidere più volte in clinch. Esaurita la verve iniziale, l’incontro virò sul piano della scherma e in questa prima fase fu Klitschko a prendere nettamente il sopravvento: un Lewis apparentemente sorpreso dalla velocità di braccia del rivale appariva a disagio nel fronteggiare un pugile tanto corpulento e nello stesso tempo imprevedibile. Il sinistro di Vitali, basso in fase di riposo, guizzava rapidissimo percorrendo traiettorie sempre diverse e il suo destro di prima intenzione scosse visibilmente il campione nella seconda ripresa: un finale inatteso appariva improvvisamente possibile.
I 43 match disputati da professionista avevano tuttavia preparato Lennox a fronteggiare qualsiasi evenienza. Il britannico non fece una piega di fronte alle difficoltà iniziali: fiutato il pericolo si limitò a cambiare tattica, senza mai abbandonare la sua espressione del volto sicura e determinata. A partire dal terzo round infatti il campione depose il fioretto e si affidò alla sciabola e in men che non si dica uno dei suoi terribili destri caricati a tutto braccio impattò di striscio sul volto di Klitschko provocando la prima di numerose ferite che si sarebbero aperte di lì a poco. L’aggressività quasi animalesca dell’avversario, il sangue che iniziava a sgorgare copioso, la tensione del grande appuntamento con la storia: per alcuni minuti Vitali apparve in difficoltà, messo con le spalle al muro da una situazione critica; ma l’ucraino era un campione, e i campioni reagiscono…
Nella quarta e nella quinta ripresa lo sfidante tornò a macinare pugilato: Lewis continuò ad avanzare come un ossesso ma lui lo tenne a bada colpendolo da ogni angolazione, spostandosi lungo il quadrato e tornando a colpire. I pugni piovevano come fulmini nel cielo in tempesta, alcuni si infrangevano sulla guardia ma altri andavano a segno e impedivano al fuoriclasse britannico di trovare la misura. La strategia di Klitschko sembrò funzionare ma era dispendiosissima perché richiedeva un movimento continuo di gambe e di tronco oltre a un workrate insostenibile sul lungo periodo. Lewis infatti non accennava ad allentare la pressione e iniziava a rendersi pericoloso anche nelle fasi di clinch con colpi sporchi ma logoranti. Il suo jab inoltre era una sassata: arrivava a bersaglio sporadicamente, ma quando lo faceva spostava letteralmente l’avversario e gli lasciava nuovi segni sul volto.
Il sesto round si aprì con un montante ravvicinato da parte del campione che fu un capolavoro: il colpo partì con tempismo straordinario mentre i due pugili stavano per entrare a contatto, la testa di Vitali si impennò nel boato di stupore del pubblico, ma l’ucraino restò strenuamente in piedi e continuò a scambiare senza tregua. I fendenti di Lewis però stavano iniziando a fare breccia: il volto di Klitschko era ormai una maschera di sangue e l’ucraino, pur dando coraggiosamente battaglia, faticava anche a veder partire i colpi del rivale, trovandosi sempre più esposto ai suoi destri velenosi. Il controllo del medico di riunione al termine della ripresa fu decisivo: Vitali era costretto a girare completamente la testa per guardare alla sua sinistra e in quelle condizioni non poteva proseguire. Un Lewis a sua volta esausto venne portato in trionfo.
L’eterno conflitto tra le due fazioni
Benché il match abbia ufficialmente decretato un vincitore, ciò non è bastato a mettere d’accordo il variegato mondo degli appassionati di pugilato su chi tra Lennox Lewis e Vitali Klitschko sia stato il pugile migliore. I sostenitori dell’ucraino pongono infatti ancora oggi l’accento sull’origine piuttosto fortuita della ferita, evidenziano il vantaggio di Klitschko sui cartellini al momento dello stop, accusano Lewis di aver rifiutato il rematch poiché conscio della propria inferiorità e affermano che la visuale ridotta dall’afflusso di sangue abbia certamente penalizzato la performance del loro beniamino dal terzo round in avanti. I sostenitori di Lewis d’altra parte sottolineano che il campione avesse quasi 38 anni la sera del match e che avesse fatto registrare il peso più alto in carriera, segno di un probabile declino già intrapreso; ricordano che le ferite aperte sul volto di Vitali furono molteplici, tanto da richiedere ben 60 punti di sutura, asseriscono che l’ultimo round disputato fu nettamente favorevole al campione e che il KO fosse solo questione di tempo e infine lodano il proprio pupillo per essersi ritirato dopo aver capito di aver intrapreso il declino piuttosto che perdere il titolo contro un rivale inferiore. Dove sta dunque la verità? Difficile dirlo senza farsi influenzare dalle proprie preferenze soggettive. Di certo entrambe le campane hanno le loro ragioni e presentano alcuni elementi concreti a sostegno della propria tesi. In assenza di un rematch dobbiamo accontentarci di rivedere, pop corn alla mano, le immagini di quella storica battaglia: che sia stata una pietra miliare della storia recente dei pesi massimi è un dato di fatto che mette d’accordo tutti.