L’Italia ha bisogno di nuovi Campioni che non siano solo di cartone

È un momento cruciale questo per il pugilato italiano. All’alba di un nuovo quadriennio olimpico e nuove elezioni federali, dopo anni passati alla deriva, tanti, troppi, tutti si aspettano grandi cose. O meglio le auspicano. Non sarà semplice, non possiamo credere che un cambiamento, uno vero, uno di quelli radicali, possa avvenire dall’oggi al domani. Sicuramente il tempo sarà la parola d’ordine da tenere a mente. Quello necessario in primis per accettare il nuovo e riuscire a scardinare tutte quelle vecchie convinzioni che hanno rovinato la nobile arte tricolore. Sì, certo ci vorrà tempo, anche se forse gli appassionati e i protagonisti del nostro amato sport hanno atteso fin troppo e fremono all’idea di vederlo tornare a brillare.

L’era d’oro della boxe italiana, gli anni dei grandi campioni, di quelle personalità maiuscole che hanno saputo smuovere gli animi della gente, che hanno portato successi, esempi di vita, coraggio, umiltà, che hanno saputo infuocare le tribune con le loro battaglie e tenere incollate agli schermi migliaia di persone, ahinoi sono lontani. A questo punto c’è da chiedersi il perché. Per certi versi è come se ci fossimo involuti, abbiamo perso appeal, abbiamo perso alcuni valori, abbiamo perso il timone.

Ormai, anche i tg e i giornali italiani parlano di boxe, di vittorie e storie belle da raccontare sul pugilato sempre più di rado. Tante testate, anche di un certo spessore, sono purtroppo distolte dal loro disinteresse per i guantoni solo quando di mezzo c’è qualcosa che ne screditi la credibilità. Come avvenuto proprio di recente in seguito alla morte di un giovane pugile irlandese. Non è accaduto in Italia, ma ne hanno parlato tutti, e ovviamente male. Senza aggiungere che fortunatamente le statistiche parlano di percentuali bassissime, che si tratta di fatalità sicuramente non felici ma che purtroppo possono accadere in questo sport. Possono accadere, come succede in tanti altri sport, dove il tasso di mortalità è anche di gran lunga più alto (vedi l’alpinismo e lo sci che sono in cima alla lista ad esempio) e dei quali però non si parla poi così male.

Altro tema caldo, da dare in pasto ai leoni, per la stampa ed il web, è stato quello di questa estate, quello delle ultime Olimpiadi, non tanto per la disfatta parigina della squadra azzurra, quanto per il teatrino montato ai danni della pugile algerina Imane Khelif. Un tema che ha fatto parlare di “boxe” chiunque, anche chi non se n’è mai interessato. Un tema delicato, mal gestito. Un tema che sicuramente andava approfondito, che non andava trattato con tanta superficialità e, mi arrogo la presunzione di dirlo, con tanta ignoranza. Ignoranza che è riemersa in questi giorni, usata per acchiappare nuovi click: “La Khelif esclusa dai mondiali”… ancora per mano dell’IBA. Ma che novità! Chi è dentro questo sport dovrebbe conoscere e sapere i trascorsi di questa Federazione non così lindi e intrecciati a questioni politiche, dunque saper prendere sempre tutto con le pinze. (Ma questo è un altro discorso).

Ecco, sarebbe utile tornare a fare un passo indietro prima di prendere lo slancio necessario ad invertire la rotta e puntare a una rinascita globale del pugilato in Italia. Il sistema è complesso, perché quando un motore si inceppa non sempre è colpa di un solo pezzo che smette di funzionare, delle volte il problema è nell’intera macchina, come in questo caso. Quindi non bastano i pugili e la loro passione. Non bastano i maestri e le sole loro forze. Serve aiuto, tutela, giustizia, supporto, nuove regole, una Federazione che non abbia paura di lottare contro il vecchio. Servono nuove risorse, serve premiare la sana competizione e lavorare sulla promozione. Serve una nuova mentalità. Un nuovo assetto. Perché non è vero che in Italia non nascono più talenti come i vecchi nostalgici talvolta recriminano!

Sicuramente i tempi sono cambiati, il pugilato in generale è cambiato, è subentrata più salvaguardia per la salute a discapito della spettacolarità sul ring (giustamente). I ragazzi sono cambiati, qualcuno è meno incline al sacrificio, altri preferiscono atteggiarsi ancora prima di aver raggiunto traguardi degni di nota. Amano apparire e parlare troppo (vedi le insensate “battaglie social”) piuttosto che far emergere le loro qualità sul quadrato. Certo, con i tempi che corrono, è facile credere, stoltamente, che questo sia il modo più immediato per raggiungere “successo”, “popolarità” e “consenso”. Poi però bisogna fare i conti con la realtà. Ma di certo esistono ancora le eccezioni, per fortuna.

Esistono sicuramente ancora giovani atleti che, se seguiti a modo, potrebbero ambire a grandi successi. E a questi rari talenti va permesso di crescere nella maniera corretta, con le giuste condizioni per far sì che tornino a far emozionare il popolo della boxe. L’Italia ha bisogno di nuovi Campioni che non siano solo di cartone e che restituiscano credibilità all’intero movimento.

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