Nota introduttiva: il seguente reportage è stato realizzato nell’estate del 2019.
Non avrà esattamente le caratteristiche dell’isola di cui cantava Edoardo Bennato, ma Cuba conserva comunque un fascino e delle peculiarità che pochi paesi al mondo possono vantare. Avvolta in un’atmosfera magica, tra ritmi e armonie inconfondibili, tradizioni immortali ed effetti ancora tangibili di una Rivoluzione che dopo 60 anni non cessa di condizionarne l’evoluzione sociale e politica, la terra di Teofilo Stevenson continua a sfornare atleti di immenso talento in svariate discipline sportive con un’attenzione particolare per il pugilato: 6 medaglie alle ultime Olimpiadi, di cui ben 3 del metallo più prezioso. Sono stato per le vie dell’Avana e quello che segue è il reportage di quanto ho visto e sentito in due palestre della Capitale.
Il maestro Carlos Miranda e il suo piccolo grande regno
Chiunque si occupi anche solo marginalmente di pugilato all’Avana conosce il nome del maestro Carlos Miranda e ne parla con immenso rispetto. Più forte dell’ictus che lo ha colpito alcuni anni fa, l’anziano trainer cubano ha progressivamente ritrovato il suo smalto e al netto di una paresi su un lato del volto, appare oggi in ottima forma, mentalmente più lucido e acuto che mai. Punto di riferimento per tanti anni della storica palestra Rafael Trejo, situata nel quartiere più antico della città, Miranda ha fatto armi e bagagli ed è andato via quando le pressioni della direzione per far combattere i suoi atleti gli sono parse insopportabili. “Io devo poter allenare un ragazzo anche per un anno e mezzo se lo ritengo necessario. Quando si è pronti con me, si è pronti per affrontare chiunque.”
Il suo nuovo regno, il Gymnasio Centro Habana, situato in una zona particolarmente povera della capitale, non è altro che un cortile incastrato tra case diroccate. Nei pressi dell’ingresso, un murale ritrae Felix Savon, passato recentemente da eroe a reietto essendo stato arrestato per molestie su minore. I cubani ne parlano tranquillamente e Miranda sintetizza la questione con una frase semplice quanto veritiera: “Non sempre i grandi campioni sono grandi persone.” Per terra, l’asfalto è usurato. Un unico sacco sgangherato pende malinconico da un gancio di ferro mentre il ring, pavimentato in legno e ricoperto di teloni, è racchiuso da corde talmente sottili da poter essere strappate di netto da un bambino. Pezzi di stucco e piccoli detriti precipitano dal muro di sinistra mentre alcuni operai lavorano alacremente, ma gli atleti non se ne curano, limitandosi a evitare la zona interessata durante il riscaldamento. Il caldo è insostenibile e la stagione agonistica è ormai terminata, eppure nove pugili o aspiranti tali si muovono alle dipendenze di Carlos e del suo aiutante Michel Miranda, il cui rapporto di parentela col maestro resta per me un mistero: alla domanda “Sei il figlio di Carlos?” mi risponde “Quasi!” accompagnando la risposta con una risata.
Miranda indica un ragazzino di circa 15 anni e afferma con sicurezza: “Quel ragazzo è un’eccellenza”. Si chiama Marcos Peña e sarà interessante scoprire quali traguardi saprà tagliare quando sarà più grande. Tra gli atleti spicca il fisico statuario di Gabriel Richards, peso massimo mancino di madre cubana e padre gambiano, nato e cresciuto in Svezia dove oggi vive e lavora nell’ambito della sicurezza. Dalle sale polifunzionali modernissime del suo paese natale al cortile decadente di Centro Habana, tutto per carpire i segreti del maestro Miranda e provare a qualificarsi per le prossime Olimpiadi.
Mentre i suoi ragazzi effettuano una sorta di sparring simulato, fatto di finte, spostamenti e colpi appena accennati, Carlos Miranda, interrogato su quante volte a settimana faccia fare sparring duro ai suoi atleti, scuote la testa e mi spiega la sua filosofia in materia:
“Ne faccio fare poco, per me lo sparring è nient’altro che una “verifica”. Se glielo facessi fare tre volte a settimana gli errori del lunedì sarebbero riproposti il mercoledì e poi nuovamente il venerdì. E nei giorni intermedi il loro fisico richiederebbe recupero, quindi quando insegnerei? Io preferisco lo sparring condizionato e altri tipi di esercizi: per le prime tre settimane del mese lavoro per far migliorare i miei pugili, poi l’ultima settimana la dedico allo sparring per vedere cosa hanno imparato e quali difetti restano. Ecco qui (apre la sua agenda NDR): per ogni pugile scrivo i difetti principali, per ogni difetto indico la strategia di lavoro per risolverlo. Lo spazio bianco che rimane servirà per l’analisi, quando li avrò visti in azione. Ora inizia l’ultima settimana del mese, infatti domani andremo al Trejo per lo sparring.”
Naturalmente ci vado anch’io.
Sparring infuocato al Gymnasio Rafael Trejo
I ragazzi di Miranda arrivano al Trejo poco prima delle 10 del mattino e si apprestano ad attendere gli atleti ospitanti. Qui la struttura è più ambiziosa: molto più spazio, un ring sopraelevato targato Everlast, spalti da ambo i lati per il pubblico delle grandi occasioni e tetto in lamiera che protegge dal sole ma non dalla pioggia a giudicare dalle pozzanghere presenti tra le 16 corde. I sacchi sgangherati questa volta sono ben tre.
La puntualità a Cuba non è esattamente un valore fondante e per circa un’ora non si fa vivo quasi nessuno, poi poco a poco la palestra si popola e tra gli altri fa capolino il 33enne Emilio Correa, medaglia d’argento nei 75 kg alle Olimpiadi di Pechino 2008, sconfitto soltanto in finale dall’inglese James DeGale. Ora Correa di chili ne pesa circa 90, forte di una possente muscolatura, ma indossa ancora una sbiadita canottiera dei tempi gloriosi della nazionale. Dopo un consistente riscaldamento gli atleti vengono accoppiati e lo sparring può avere inizio: tra ring e spazio antistante si muovono almeno sette coppie di pugili, ma gli occhi di tutti gli osservatori esterni sono puntati naturalmente su Gabriel Richards ed Emilio Correa.
Il primo round è di riscaldamento, i due guerrieri si studiano e si osservano sciogliendo muscoli e articolazioni senza forzare. Dal secondo si scatena la battaglia. I due stili in gioco sono agli antipodi: Correa è rilassato e guascone, tiene le mani basse, si difende con l’ausilio delle spalle e con rapide flessioni del tronco e quando colpito duramente sorride spavaldo. Richards è concentratissimo, guardia mancina alta, impostazione tradizionale e controllo della distanza. Il primo vive di sfuriate, il secondo scaglia diretti a ripetizione senza tregua. La terza ripresa si apre col botto: Correa mette a segno quattro colpi pesanti consecutivi al grido di “Eso es!” (“Questo è!”) che scuotono Richards ma quest’ultimo, incitato a gran voce dal maestro Miranda a imporre la lunga distanza, non si dà per vinto e chiude in crescendo.
L’ultimo round vede gli atleti allo stremo delle forze: il caldo è ormai apocalittico, schizzi di sudore partono in ogni direzione, i pugili continuano a calcare l’asfalto infuocato incuranti degli impatti fortuiti tra diverse coppie di sparring. I fendenti di Correa e Richards perdono progressivamente esplosività, i due annullano le distanze dando vita a un entusiasmante corpo a corpo nell’ultimo minuto a disposizione mentre maestri e spettatori li circondano incitandoli a voce altissima e scandendo il tempo rimanente ogni dieci secondi. La sessione si chiude tra abbracci, strette di mano e complimenti reciproci. Un altro piccolo paragrafo dell’immensa storia del pugilato cubano è stato scritto.