Uno degli aspetti che rendono particolarmente affascinante il pugilato è la sua imprevedibilità. Puoi essere il più grande tra i campioni, baciato dal talento, magnificato dagli esperti, ma se non sali sul ring con la giusta concentrazione e con la fame di vittoria, la debacle è dietro l’angolo. Persino il più forte fuoriclasse di tutti i tempi non era immune da questa regola e così il 10 luglio del 1951 all’Earls Court Arena di Kensington, nel Regno Unito, l’immenso “Sugar” Ray Robinson subì una clamorosa e inaspettata sconfitta, cedendo il titolo mondiale dei pesi medi al giovane idolo locale Randolph Turpin. A 73 anni esatti da quell’incredibile Upset Of The Year andiamo ad analizzarne oggi lo svolgimento e i retroscena.
Il miracolato e la superstar
Orfano di padre fin da quando aveva appena un anno e ultimo di cinque figli, Randy Turpin aveva vissuto un’infanzia e un’adolescenza turbolente e per ben due volte aveva rischiato la morte. Una volta era quasi annegato, episodio che lo rese parzialmente sordo per il resto della vita; un’altra volta era scampato per un soffio agli effetti letali di una broncopolmonite.
Temprato dalle difficoltà e dai pericoli e incoraggiato a battersi dalla madre stessa, figlia di un ex atleta di boxe a mani nude, l’inglese si rese protagonista di una carriera dilettantistica di prim’ordine, con 95 vittorie su 100 match disputati e la conquista di trofei prestigiosi. Anche dopo il passaggio nei professionisti il suo rendimento iniziale si mantenne eccellente, fatta eccezione per due sole sconfitte giunte in una fase di profonde problematiche familiari. Pur avendo ottenuto ben 40 successi da pro, Turpin non aveva però mai disputato in vita sua più di otto round nello stesso match e molti consideravano prematura la sua sfida al campione del mondo.
Se il 23enne di Leamington poteva dunque essere considerato alla vigilia del combattimento una promessa in ascesa, il suo avversario aveva già da tempo assunto lo status di leggenda vivente. Imbattuto da dilettante e protagonista di 129 vittorie tra i pro, Robinson era considerato praticamente imbattibile. La sua unica battuta d’arresto, giunta per mano di un Jake LaMotta all’epoca molto più pesante di lui, era stata vendicata più volte, tanto da portare il bilancio tra i due sul 5 a 1 in favore di Sugar. Già campione del mondo nei welter prima di diventarlo nei medi, l’americano era al termine di un tour europeo: nel giro di appena un mese e mezzo aveva già disputato sei match nel vecchio continente e si apprestava a sostenere l’ultima sfida prima di tornare in patria. Una folla enorme di ammiratori lo seguiva dovunque andasse e Sugar, compiaciuto da tanta idolatria, trascorreva le giornate londinesi giocando a golf di giorno e a carte di sera, come se fosse in vacanza.
Il match che non ti aspetti: Davide batte Golia!
L’atteggiamento del campione in carica nel corso delle prime riprese fu quello dell’atleta molto sicuro di sé che lascia spazio al rivale sapendo già di potergli restituire il danno con gli interessi. L’americano girava sornione in circolo, centellinando i colpi e limitandosi a un’accorta difesa, ma lasciando in questo modo tutta l’iniziativa nelle mani di Turpin, pronto ad approfittarne per mettere subito fieno in cascina. I primi due round quindi furono in un certo senso “regalati” allo sfidante, ma quando nel terzo Robinson accennò un cambio di ritmo, subito il giovane inglese diede dimostrazione della sua pericolosità stordendolo per un attimo con un improvviso gancio sinistro.
I 18mila tifosi presenti a Kensington erano increduli ed estasiati: il loro beniamino, condannato sulla carta a una sconfitta sicura, stava mettendo in seria apprensione il campione del mondo. Turpin si avvicinava senza dare bersaglio grazie a un ottimo movimento sul tronco, si apriva la strada col suo pesante diretto sinistro ed era estremamente reattivo nel rifugiarsi nel corpo a corpo non appena Robinson cercava di azionare i suoi famigerati fendenti. Proprio le fasi sporche, combattute petto contro petto, diedero l’opportunità al pugile inglese di far valere la sua superba forza fisica, anche con l’ausilio di qualche scorrettezza a cui l’arbitro, il locale Eugene Henderson, non prestava troppa attenzione.
Per ben sei riprese il leggendario Sugar non riuscì a raccapezzarsi di fronte allo stile scorbutico del suo dirimpettaio, poi finalmente sembrò darsi una svegliata, trovando nel montante destro al corpo di prima intenzione un’arma affilata per sorprendere Turpin quando quest’ultimo gli si avventava contro alla sua maniera. Pur mettendo a segno alcuni colpi di pregevole fattura tuttavia, il campione riuscì soltanto parzialmente a rientrare nel match, faticando oltremisura a prenderne il controllo. L’ultimo terzo del combattimento oltretutto si aprì nel segno di Turpin, capace di scuotere per la seconda volta il rivale nel corso dell’undicesima ripresa con un gancio sinistro fulmineo preparato grazie a due jab portati in rapida successione.
Incredibilmente, nonostante fosse chiaro a tutti i presenti che il punteggio fosse certamente favorevole allo sfidante, Robinson non diede l’impressione di dannarsi l’anima alla ricerca del KO nel corso delle fasi conclusive del match. Il suo workrate restava piuttosto basso, i suoi colpi caricati apparivano prevedibili e finivano regolarmente a vuoto. Anche i cosiddetti “championship round” furono dunque appannaggio del giovane Turpin che non smise per un secondo di operare il pressing mandando in visibilio la sua gente. Il giovane venne quindi proclamato vincitore subito dopo il suono del gong dall’arbitro Henderson, che come da tradizione britannica fungeva anche da giudice unico. Il cartellino esatto del direttore di gara non fu divulgato, mentre quello non ufficiale, compilato dai giornalisti dell’Associated Press, fu di 9 round a 4 in favore di Turpin, con 2 riprese pari. Uno score perfettamente in linea con quanto visto sul quadrato. Nel rivedere oggi le immagini di quello storico match si resta perplessi al cospetto della prova incolore del grande Robinson, impotente e abulico per buona parte dei 15 round disputati. Sorge inevitabilmente qualche sospetto: erano anni in cui i match truccati erano purtroppo una triste ma consolidata abitudine e la clausola di rivincita già presente nei contratti potrebbe aver contribuito a convincere il campione a non impegnarsi fino in fondo. D’altro canto occorre dire che la tesi della combine non si sposa benissimo con quanto avvenne nel rematch di New York due mesi dopo: pur siglando un bellissimo quanto drammatico KO nel decimo round infatti, Sugar incontrò nuovamente notevoli difficoltà, subì una pericolosa ferita al volto e risolse il match da fuoriclasse mentre i cartellini erano in bilico. Non è da escludere quindi che Turpin avesse semplicemente lo stile perfetto per far sfigurare il Dio del pugilato e che il 10 luglio di 73 anni fa Robinson abbia avuto semplicemente una serata storta. In assenza di prove che dimostrino il contrario, a noi piace pensarla così.