John Tate vs Mike Weaver: il colpo disperato di “Hercules”

Secondo una leggenda metropolitana molto popolare, il calabrone non potrebbe volare stando alle leggi della fisica, ma siccome non le conosce, vola lo stesso. Per il peso massimo Mike Weaver, detto “Hercules”, valeva un discorso simile: teoricamente non aveva le qualità tecniche necessarie ad arrivare ai vertici, ma la sua cieca determinazione lo condusse ugualmente sul tetto del mondo. Il 30 marzo del 1980, esattamente 45 anni fa, l’americano sconfisse il connazionale “Big” John Tate strappandogli il Titolo Mondiale WBA dei massimi presso lo Stokley Athletics Center di Knoxville. Il drammatico KO, giunto a soli 45 secondi dalla fine del quindicesimo e ultimo round, quando la sconfitta di Weaver pareva ormai inevitabile, è solo uno dei tanti ingredienti che rendono la storia di quel match meritevole di essere raccontata.

John Tate: l’alunno poco brillante che fa i compiti a casa

Avete presente quegli scolari privi intuito e genialità ma estremamente diligenti e metodici nel puntare all’eccellenza? Ecco, John Tate era quel genere di pugile. Poco baciato da madre natura, lo statunitense si era costruito col duro lavoro in palestra e passo dopo passo aveva raggiunto traguardi inizialmente insperati. Bronzo olimpico a Montreal, dove il destro al fulmicotone di Teofilo Stevenson lo mise fuori gioco in semifinale, Big John aveva inizialmente faticato a farsi notare da professionista, complici alcune vittorie stentate contro rivali non irresistibili. Il segreto per il salto di qualità fu nel suo caso il ritmo: non avendo grande potenza e non eccellendo in difesa, Tate si specializzò nel portare grandi quantità di colpi in rapida successione, il che lasciava spiazzati molti pesi massimi, abituati a ritmi blandi e cadenzati. Con questa ricetta sconfisse per decisione unanime in trasferta l’imbattuto sudafricano Gerrie Coetzee e si aggiudicò così il vacante Titolo WBA di categoria.

Mike Weaver: il brutto anatroccolo e la sua trasformazione

Pugile per caso, più che per vocazione, Weaver praticò diversi sport da ragazzo ma non ebbe contatti con la boxe fino ai 17 anni, quando si arruolò in marina. Qui, durante una lite sorta in merito a quale canzone andasse messa al jukeboxe, stese con un solo pugno il campione dei massimi della sua base militare e fu convinto dai compagni a cimentarsi nella Nobile Arte. Il grande Ken Norton, di cui Mike divenne sparring partner, lo convinse per ben tre volte a non appendere i guantoni al chiodo quando la sua carriera stentava a decollare e le sue sconfitte da professionista aumentavano in modo preoccupante. “Hercules”, soprannome inventato per Weaver dallo stesso Norton, perse infatti ben sei dei primi dodici match disputati a torso nudo ma dimostrò al mondo di non essere un pugile qualsiasi quando nel 1979, da presunto sfidante di comodo, fece passare all’immenso Larry Holmes una serata d’inferno, crollando soltanto al dodicesimo round, dopo essere stato a un passo dal colpaccio. Il brutto anatroccolo si stava trasformando in cigno e una nuova chance mondiale meno di un anno dopo bussò alla sua porta…

Un match a senso unico

Weaver era dato nettamente sfavorito dagli allibratori e il suo approccio al match sembrò dare ragione ai pronostici della vigilia. Spento e abulico fin dalla prima campana, Hercules faticò a disimpegnarsi contro il workrate asfissiante del campione che lo mitragliava di colpi e lo teneva ancorato alle corde. Chi seguiva il match in diretta ipotizzò che lo sfidante fosse a disagio poiché costretto a boxare indietreggiando, ma quando dopo quattro riprese dominate Tate interruppe temporaneamente il suo forcing lasciando il centro del ring al rivale, Weaver non seppe approfittarne affatto: continuò invece a persistere nella sua passività, dando la sensazione di attendere che l’occasione giusta gli piovesse dal cielo. Incoraggiato dalla scarsa vena dell’avversario, il campione riprese dunque il suo bombardamento; i colpi di Tate non davano la sensazione di fare danni consistenti, ma servivano a scavare un solco sui cartellini che ad ogni ripresa si faceva più incolmabile.

Se ne accorse naturalmente anche l’angolo di Weaver che lo implorava disperatamente di lasciar andare le mani e portare più colpi, ma invano. Dopo il decimo round un serafico Larry Holmes, intervistato negli spogliatoi mentre attendeva il suo turno di battersi e assisteva al combattimento grazie a un apposito monitor, disse ai giornalisti che lo sfidante stava cercando unicamente di sopravvivere: chi avrebbe potuto contraddirlo in quel momento? Poi, come un fulmine a ciel sereno, nel dodicesimo round un sussulto scosse il pubblico e ridiede vigore al match: dopo essere stato centrato in pieno da un destro del campione, Weaver, quasi animato da un impulso elettrico, lasciò partire un gancio sinistro che scosse Tate facendolo arretrare precipitosamente verso le corde. Improvvisamente Hercules si destò dal suo stato letargico per tentare il tutto per tutto, ma i suoi assalti erano caotici e sconclusionati e non gli permisero di piazzare subito il colpo di grazia.

La vita è fatta a scale, c’è chi scende e c’è chi sale

La fine del match si avvicinava inesorabilmente e ormai era chiaro a chiunque si trovasse allo Stokley Athletics Center, oltre che a tutti gli spettatori incollati alla TV, che l’unica chance di vittoria dello sfidante risiedeva in un clamoroso KO in extremis e che al campione sarebbe bastato rimanere in piedi per conservare il titolo. Alzatosi dallo sgabello in vista dei tre minuti più importanti della sua vita, Weaver fece affidamento alla sua radicata fede cristiana: recitò dentro di sé il Salmo 23 della Bibbia e chiese a Dio la forza necessaria a trovare il KO. Con questa disposizione d’animo si avventò sul rivale cercando di braccarlo mentre lui fuggiva e legava vedendo approssimarsi il dolce sapore della vittoria. Per più di due minuti gli attacchi di Hercules furono infruttuosi; poi, di colpo, il miracolo avvenne: liberatosi da un clinch, Weaver lasciò partire un diretto destro al corpo seguito da un terrificante gancio sinistro alla mandibola che per un secondo paralizzò letteralmente Tate a mezz’aria. Un attimo dopo il campione crollò rovinosamente al tappeto privo di sensi; mancavano appena 45 secondi alla campana finale!

Mentre la stella di Mike Weaver saliva in alto nel firmamento, quella di John Tate sprofondava negli abissi più oscuri. Psicologicamente distrutto dalla debacle, l’americano non tornò mai più ai suoi livelli e cadde nel tunnel della cocaina da cui non venne più fuori. In breve dilapidò tutti i soldi guadagnati e dopo aver conosciuto l’onta della galera per aggressioni e piccoli furti, si ridusse a chiedere l’elemosina per le strade della sua Knoxville. Un infarto lo stroncò a soli 43 anni: quel brutale KO non aveva semplicemente deposto un campione; aveva spazzato via un uomo.

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