Turki Alalshikh o Turki Al-Sheikh? L’inquietante doppia faccia di “Sua Eccellenza”

Strette di mano, sorrisi, foto iconiche che lo ritraggono a braccetto con i più importanti campioni, promoter e allenatori dell’era attuale: Turki Alalshikh sta facendo il possibile per dare di sé l’immagine di un uomo bonario e gentile, animato esclusivamente dall’amore per il pugilato e per i suoi fan. Un’operazione di maquillage di notevole successo, dato che effettivamente il mondo della boxe, con poche eccezioni, pare aver accolto tra le sue braccia il funzionario governativo saudita con entusiasmo e gratitudine. Eppure, un’indagine un po’ più approfondita sul passato di Alalshikh porta alla luce un’altra faccia di “Sua Eccellenza”, contraddistinta da particolari piuttosto inquietanti.

Nel celebre capolavoro di Luigi Pirandello “Il fu Mattia Pascal”, il protagonista, creduto morto dalla sua famiglia e dalla sua comunità, decide di assumere lo pseudonimo di Adriano Meis nella speranza che questo lo aiuti a tagliare i ponti con il passato e che impedisca alle persone che si appresta a incontrare nella sua “nuova vita” di metterlo in relazione con la sua precedente identità. Turki Alalshikh, precedentemente noto con l’appellativo di Turki Al-Sheikh, sembra quasi aver tratto ispirazione dall’opera pirandelliana, mutando leggermente il cognome con cui si presenta e distanziandosi così astutamente dalle sue gesta passate.

Chi dovesse effettuare una rapida ricerca sul web, usando le parole “Turki Alalshikh”, non troverebbe notizie particolarmente sconvolgenti o controverse. È ciò che accadde a me un mese e mezzo fa, quando mi apprestavo a scrivere un pezzo sulla “svolta araba del pugilato” (clicca qui per leggerlo). Dando una veloce occhiata alla pagina di Wikipedia in inglese dedicata al funzionario saudita, non notai nulla di disdicevole, tanto che nel mio articolo mi limitai a ironizzare sull’atteggiamento esageratamente servile di una parte degli addetti ai lavori nei confronti di “Sua Eccellenza”.

Occorre infatti passare al setaccio quella pagina con la lente di ingrandimento per cogliere, al di là della già citata duplicità del nome, due particolari a loro modo significativi. Il primo è racchiuso nella frase “Ha lavorato in diversi settori governativi, tra cui il ministero dell’Interno”, un piccolo campanello d’allarme quando ci si riferisce a un Paese autocratico, in cui le forze di polizia vengono impiegate per la repressione del dissenso.

Il secondo è una delle note, la numero 14, che rimanda a un articolo di Human Rights Watch sulla pratica adoperata in Arabia Saudita di sviare l’attenzione globale dalle violazioni dei diritti umani ospitando un gran numero di eventi di intrattenimento. Nota che peraltro passa quasi inosservata, essendo applicata nel testo a un lungo elenco di artisti che si sono esibiti nel Paese, senza alcun riferimento esplicito al whitewashing.

Gli aspetti più gravi e sinistri tuttavia saltano fuori soltanto adoperando, in fase di ricerca, il nome “Turki Al-Sheikh”. Il più inquietante di tutti è raccontato in un lungo e dettagliato articolo del Guardian, dedicato al colpo di Stato che nel 2017 spianò la strada a Mohammed bin Salman per l’ascesa al trono dell’Arabia Saudita ai danni del legittimo successore Muhammad bin Nayef. (Clicca qui per leggere il pezzo)

Bin Nayef, secondo la ricostruzione del Guardian, fu “convinto” a rinunciare ai suoi diritti di successione dopo essere stato forzatamente separato dalle sue guardie del corpo e dopo aver interloquito privatamente proprio con “Sua Eccellenza” Turki El-Sheikh, che lo avrebbe minacciato di far violentare le donne della sua famiglia qualora non si fosse fatto da parte.

Un’altra notizia in cui ci si imbatte scavando nei meandri della rete riguarda il giovane cittadino egiziano Ahmed Mohamed Omar, che nove mesi dopo essersi trasferito in Arabia Saudita nel 2021 per lavoro, fu prelevato di soppiatto dalla polizia e sparì dalla circolazione per un anno e mezzo prima che gli venisse concessa una breve telefonata ai suoi familiari in cui spiegò di essere stato arrestato a causa di un Tweet del 2019 in cui attaccava Turki Al-Sheikh.

Il ragazzo, come riportato da più fonti e come denunciato da diversi attivisti dei diritti umani, è stato successivamente condannato a 19 anni di prigione. Oltretutto l’organizzazione Together For Justice, focalizzata sulla promozione dei diritti umani, sottolinea nel suo resoconto della vicenda (leggi qui) che quello di Ahmed Mohamed Omar non sia un caso isolato: analogo destino sarebbe toccato all’influencer Omar Napoli, celebre in Arabia Saudita per i suoi post sarcastici, sparito dalla circolazione dopo aver pubblicato commenti critici nei confronti di Al-Sheikh.

Concludiamo questo breve elenco (senz’altro non esaustivo) degli aspetti più controversi connessi alla figura del Presidente della General Entertainment Authority segnalando la sua vicinanza, più volte rimarcata, all’ex consigliere reale Saud al-Qahtani, che secondo l’Intelligence statunitense sarebbe l’organizzatore materiale dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, trucidato e fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul nel 2018.

“Sua Eccellenza” ha manifestato il suo appoggio ad al-Qahtani postando su X (all’epoca chiamato Twitter) una canzone celebrativa nei suoi confronti nel 2020 (leggi qui). Un gesto che al tempo non passò inosservato e che provocò le proteste della famiglia dell’attivista dei diritti delle donne Loujain al-Hathloul, torturata in carcere sotto la supervisione dello stesso al-Qahtani secondo accuse giudicate credibili da Amnesty International.

Se arrivati a questo punto del mio articolo vi siete fatti l’idea che io mi illuda di scatenare con le mie parole una ribellione corale del mondo del pugilato nei confronti di Turki Alalshikh siete completamente fuori strada. Ho smesso di credere da un pezzo a Babbo Natale e so benissimo che la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori, imbattendosi in queste notizie, reagirebbe con una semplice scrollata di spalle.

Nell’arco degli anni la boxe ha già steso svariate volte il tappeto rosso a personaggi dalle caratteristiche morali più orrende. L’esempio più eclatante, ma non l’unico, è senz’altro quello dell’eterno Don King, autore di due omicidi e protagonista di innumerevoli truffe finanziarie ai danni dei suoi pugili ma tuttora beneficiario di premi e riconoscimenti, ultimo dei quali il “The Ring Lifetime Achievement award” conferitogli meno di un mese fa dalla storica rivista statunitense.

Se però le malefatte di Don King sono da anni ben note e documentate, la figura di Turki Alalshikh è ancora avvolta in un alone di mistero, al punto che moltissimi fan ignorano completamente le sue fortissime connessioni con gli apparati repressivi del potere saudita. Lo scopo di questo pezzo è dunque semplicemente quello di compiere un’operazione-verità. È essenziale che certi fatti non restino fuori dal dibattito pubblico, dopodiché ognuno giudicherà secondo la propria coscienza se continuare ugualmente a pulire le scarpe di “Sua Eccellenza”, come Eddie Hearn si è detto disposto a fare.

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