Intervista a Fiorenzo Priolo, la rivelazione italiana del Boxing Grand Prix

Il ring del Global Theater Boulevard di Riyad lo ha consacrato come una delle autentiche rivelazioni della categoria dei pesi superleggeri del torneo Boxing Grand Prix: Fiorenzo Priolo ha fatto entusiasmare gli appassionati italiani di boxe per la perizia tecnica e per la padronanza assoluta con cui ha portato a casa la vittoria, guadagnandosi l’accesso agli ottavi di finale della manifestazione. Boxe Punch si è dunque subito messo in moto per realizzare quest’intervista alla giovane promessa del nostro panorama pugilistico che, a dispetto dei soli ventidue anni, combatte già con l’autorità di un veterano del ring.

Iniziamo dai tuoi primi passi nel mondo della boxe. A che età sei entrato per la prima volta in una palestra di pugilato e con quali obiettivi?

Io inizialmente praticavo lotta greco-romana e lotta libera; ho iniziato all’età di otto anni. Poi nel 2018, dato che non mi trovavo più tanto bene nella palestra in cui mi allenavo, ho deciso insieme a mio padre di cambiare sport e dedicarmi ad altro. Sono quindi andato nella palestra di Cristian De Martinis, il mio attuale allenatore, per fare una prova di pugilato. Mi sono trovato molto bene, però la palestra si trovava a Pianezza e dato che mio padre non poteva accompagnarmi, non ho potuto proseguire il percorso. Poi a giugno mio padre mi ha consigliato di rivolgermi a una palestra vicino casa che proponeva dei corsi di Muay thai e ho iniziato a integrarli agli allenamenti di lotta, alternando i giorni. A settembre, per quanto possa sembrare incredibile, il maestro ci ha detto: “Ragazzi, purtroppo io non potrò più venire; al mio posto verrà un mio carissimo amico che insegnerà soltanto pugilato: Cristian De Martinis”. In pratica io volevo andare ad allenarmi da Cristian e invece alla fine è venuto lui da me. Fino al giugno del 2019 ho continuato a praticare lotta e pugilato, facendo gare in entrambe le discipline. Poi, dopo aver partecipato ai campionati d’Europa con la Nazionale italiana di lotta, ho iniziato a dedicarmi al pugilato a tempo pieno.

Quali risultati hai raggiunto da dilettante e cosa ti ha spinto a passare professionista a soli vent’anni?

Da dilettante ho ottenuto dei buoni risultati, ho vinto i campionati regionali, sono arrivato secondo ai campionati italiani e ho vinto anche dei tornei all’estero. I miei primi undici match da dilettante li ho vinti tutti; la prima sconfitta l’ho subita in Irlanda contro un campione irlandese che aveva 74 match all’attivo. Però sin da subito mi sono reso conto che il dilettantismo non era il mio vero obiettivo. Il mio obiettivo è sempre stato il professionismo. Non posso negare che mi sarebbe piaciuto partecipare alle Olimpiadi, che rappresentano uno dei palcoscenici più importanti al mondo per un pugile. Io però non sono mai riuscito a esprimermi al 100% nel dilettantismo: sono un diesel, mi scaldo strada facendo, quindi per me tre riprese erano troppo poche. Chi ha visto il mio match di Riyad si sarà accorto che nel primo round ho dovuto carburare un pochino e che poi il mio avversario ha iniziato a calare mentre io iniziavo a crescere. È sempre stata una mia caratteristica e quindi nel dilettantismo non mi sono mai trovato a mio agio perché non riuscivo a esprimere il 100% delle mie qualità.

Come definiresti il tuo stile sul ring? Ci sono campioni del passato o del presente a cui ti ispiri?

Devo ammettere che io non sono un’enciclopedia della storia della boxe. Qualcosina la guardo, ma in generale il pugilato preferisco praticarlo che guardarlo, quindi da questo punto di vista mi sento un po’ come le persone che conoscono solo i nomi dei pugili più famosi, benché a volte mi capiti di guardare qualche incontro e di trovarlo interessante. Il mio stile sul ring lo definirei uno stile “messicano”, per quanto non privo di tecnica. È uno stile da guerriero: mi piace scambiare, mi piace “fare a botte”, anche se naturalmente preferisco darle che prenderle [ride].

Tra le particolarità del torneo Boxing Gran Prix a cui stai partecipando c’è quella di aver reso noti gli accoppiamenti poco prima del giorno dei match. Hai avuto modo di visionare qualcosa del tuo avversario oppure sei salito sul ring senza conoscere le sue caratteristiche?

Noi ci siamo pesati il giovedì, giorno in cui sono usciti gli accoppiamenti, mentre i match erano in programma per il venerdì. Sapevamo già che nel torneo c’erano trentadue atleti tutti molto validi, quindi da un certo punto di vista uno valeva l’altro. Comunque quando ci hanno comunicato il nome dell’avversario siamo andati a vedere chi fosse, abbiamo letto il suo record e abbiamo visto qualche suo video su internet, per capire almeno per sommi capi quale fosse il suo stile. Noi in ogni caso la pensiamo in questo modo: un match lo puoi programmare, puoi predisporre tutte le tattiche che vuoi, ma dopo il primo colpo saltano tutti gli schemi. Ci piace quindi aggiustare la nostra strategia strada facendo. Questo naturalmente non vuol dire che andiamo a combattere da sprovveduti, senza neppure sapere se avremo di fronte un pugile alto, basso, mancino, ecc. Ma dopo esserci resi conto delle sue caratteristiche, cerchiamo di utilizzare il primo round per costruire il match da fare nelle altre riprese.

Il kazako Nurzhan Serikbayev con cui ti sei scontrato al primo turno aveva vinto tutti i suoi match precedenti per KO in pochi minuti e ha cercato di pressarti con grande aggressività fin dall’avvio. Hai sentito la sua potenza in quel primo round infuocato o hai capito fin da subito di avere la situazione sotto controllo?

Il primo round è stato il più difficile del match. Lui ha subito provato a imporsi in maniera decisa, ma io non sono un ragazzo che si fa spaventare o demoralizzare dal ritmo di un match, perché conosco le mie qualità. Sapevo che aveva vinto sempre per KO, ma io mi reputo un buon incassatore e oltretutto tenevo le mani ben alte per evitare di prendere troppi colpi duri. Dopo qualche colpo, anche al corpo, ho sentito che aveva le mani pesanti, ma non così tanto da farmi fare quel passo indietro che gli avrebbe fatto prendere coraggio. Era potente ma non così tanto da intimorirmi.

Il tuo prossimo avversario del torneo sarà il pugile turco Efe Derin Konuk. Hai già visto il suo match vittorioso dei sedicesimi di finale? Che idea ti sei fatto sulle sue caratteristiche?

Sarò sincero: l’ho visto soltanto una volta, molto velocemente. Il mio match invece l’avrò rivisto già una decina di volte [ride]. Ho ancora due mesi per elaborare una tattica e per capire lui come boxa; e poi come ho già detto noi pianifichiamo tutto strada facendo durante l’incontro. È un buon pugile, ma del resto più si va avanti nel torneo e più il cerchio si restringe e rimangono in gioco gli atleti migliori. Ho visto che ha un buon record e che ha già vinto dei titoli in Asia, però penso che se non riuscirò a vincere contro di lui non potrò andare da nessuna parte. Ho visto altri pugili del torneo che sono veramente forti e talentuosi. Se non dovessi vincere e convincere contro di lui, non meriterei di arrivare in fondo. Naturalmente non lo sottovaluterò, perché ogni match è una storia a sé e bisogna salire sempre sul ring concentrati al 100%, però se punto a vincere questo torneo non posso farmi impensierire da questo avversario.

Il tuo maestro Cristian De Martinis ha avuto una carriera professionistica di tutto rispetto e si è sempre distinto sul ring per il suo coraggio. Ti è mai capitato di vedere qualcuno dei suoi match più importanti? Che rapporto avete in palestra?

Sì, ho visto qualche suo match. Io e Cristian ormai siamo una cosa sola. La palestra la gestiamo insieme dato che siamo soci, quindi c’è anche un legame lavorativo, ma questo non c’entra nulla col nostro rapporto personale. Io mi fido ciecamente di Cristian: sul ring potrei salire anche bendato con Cristian all’angolo. Se mi dà dei consigli, lo ascolto e faccio quello che mi dice: non ho mai dubitato. Penso sia fondamentale tra un maestro e un atleta avere questo rapporto di fiducia. Non dico che il maestro abbia nelle mani le sorti del match, ma sicuramente ha una grossa importanza nelle dinamiche di un combattimento. Anche contro il kazako, Cristian mi ha dato quei due o tre consigli per far sì che il match andasse nella direzione giusta. Di lui mi fido e riesco sempre a realizzare immediatamente quello che mi dice.

Nel farti un grosso in bocca al lupo per il proseguo del torneo, ti chiediamo qual è il tuo sogno nel cassetto.

Il mio sogno nel cassetto è quello che ha la maggior parte dei pugili all’inizio. “Diventare campione del mondo” è la risposta che danno un po’ tutti, però a me vengono i brividi mentre lo dico. Non lo vedo come un sogno, lo vedo come un obiettivo. Mi sveglio la mattina e penso a diventare campione del mondo; vado a dormire la sera e penso a diventare campione del mondo. Durante la giornata mi capita più volte di visualizzare la scena in cui divento campione: da quando ho iniziato a praticare pugilato non so quante volte l’ho vissuta. Se un giorno dovessi diventare davvero campione del mondo, penserò di averlo già fatto diecimila volte. Quindi, anche se so che si tratta di un sogno, preferisco vederlo come un obiettivo che voglio raggiungere. So che sarà difficile, però io vado tutti i giorni in palestra, penso sempre al pugilato e da qualche parte arriverò sicuramente; non so dove, ma il mio obiettivo è quello di arrivare in cima.

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